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Ha così origine la battaglia di David per riuscire ad ottenere l'unica cosa che davvero riesca a smuovere il suo cuore. Dovesse anche, per questo, sfidare il Destino ed i suoi emissari.
Due cose hanno preceduto l'arrivo di questo film sugli schermi di casa Ford: la sua già consolidata fama - se ne legge un gran bene praticamente dappertutto - ed il fatto che sia ispirato da un lavoro di Philip Dick, geniale autore di fantascienza responsabile, tra le altre cose, di opere quali Blade runner e A scanner darkly.
Nolfi, il furbetto regista di quest'ottima confezione, questo deve averlo saputo bene, e deve anche aver giudicato che tra partire con una sceneggiatura quasi pronta firmata Dick o scriverne una nuova - con tutti i rischi del caso - da zero non c'era proprio paragone.
Così, in un atmosfera vintage che tanto richiama Mad men - con tanto di presenza nel cast di John Slattery, che non interpreta nient'altro che lo stesso personaggio, con la sola rinuncia all'alcool e alle sigarette cui ci ha abituato nel corso dell'elegante serie appena citata - il regista trasforma la critica sociale tipica di Dick in una storia d'amore accattivante e dall'ottimo ritmo, che rende I guardiani del destino un film piacevolissimo e scorrevole, di quelli che danno una certa sicurezza del fatto di non essere stati derubati di quel paio d'ore di meritato riposo serale dopo il lavoro, capace di richiamare, nel suo lato più romantico, alcuni aspetti di cult del genere come Eternal sunshine of the spotless mind e (500) giorni insieme.
Ma basta, questo, a trasformare un film discreto in un piccolo cult?
Personalmente, no.
Certo, il lavoro di Nolfi è preciso, serrato, intrigante, porta a riflessioni che potrebbero essere importanti - il libero arbitrio, il controllo, la forza di una storia d'amore contro le regole di una società avviata ed apparentemente perfetta -, ma quanto del buono di questo film viene dalle riflessioni dell'autore del romanzo, e quanto dallo stesso regista?
In fondo, la parte davvero debole della pellicola - l'affrettata e tendenzialmente smielata e pacificatoria parte finale - mi ha riportato alla mente un altro film potenzialmente grande caduto rovinosamente proprio con la sua conclusione e sempre legato a Philip Dick: Minority report.
Nolfi non è certo Spielberg, eppure anche nel caso della pellicola interpretata da Tom Cruise la riflessione sul libero arbitrio e la lotta del protagonista per sfuggire al controllo, tesissime e dirette con mano esperta, crollarono inesorabilmente nel corso del climax finale, tanto scontato e buonista da distruggere quasi completamente l'ottimo lavoro svolto nell'evoluzione della vicenda.
Ora, trovo che I guardiani del destino funzioni decisamente meglio di Minority report, ma questo non significa che non soffra, pur se in misura minore, degli stessi difetti, che passano tutti da una sostanziale mancanza di coraggio del regista: e tutto si riduce come per il misterioso Presidente, che per anni segue la vicenda di David ed Elise impiegando agenti e risorse in modo che la loro storia d'amore possa non sbocciare e poi, all'apice della ribellione del primo - nella sequenza più affascinante della pellicola, l'inseguimento tra le porte, che tanto mi ha ricordato quel Capolavoro di Monsters and Co. -, decide che sì, se qualcuno lotta così duramente per ciò che desidera allora uno strappo si può fare, perchè in fondo è quello lo scopo di tutto questo suo serrato controllo.
Il senso è chiaro, ma forse esistevano modi migliori per raccontarlo perchè non sembrasse il classico finale da "benvenuti in America".
MrFord
"Another turning point, a fork stuck in the road
time grabs you by the wrist, directs you where to go
so make the best of this test, and don't ask why
it's not a question, but a lesson learned in time."
Green Day - "Good riddance (time of your life)" -
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