Ci sono storie che hanno diversi livelli di lettura, cerchi concentrici che una volta ritratti permettono di leggere il racconto sotto profili sfumati e per questo vanno colti, analizzati. Vanno separati dal resto, misurati come le pennellate che li hano generati e che riescono così a dare il valore aggiunto impercettibile epppur fondamentale al nucleo centrale del racconto.
Succede nel film La nostra vita di Luchetti, capolavoro di neorealismo dei giorni nostri. Non entriamo nella storia, che per definizione è una delle tante (ma che come poche riesce a toccare le corde delle emozioni umane). Restiamo invece sui cerchi concetrici, su uno dei più periferici, quello che fa da scenario e da sfondo a tutta la vicenda: l’abusivismo edilizio che disegna una borgata disperata di vite e di sotto-vite, di realtà conosciute e taciute. Di accordi sottobanco, di appalti, subappalti e di morti nei cantieri fino alla resa finale: i cartelli malavitosi dell’edilizia laziale per portare a termine le opere: “Noi lavoriamo ventiquattro ore su ventiquattro e non conosciamo il sindacato”, dice il capoclan dei cottimisti.
Che poi aggiunge: “Se però non mantieni le promesse ti scateniamo contro tutti, sindacati compresi”. Luchetti arriva a dire l’aggressività del mattone come non si riesce più neanche a pensare in un paese di condoni, varianti ai piani regolatori e vergogne interne agli enti preposti al controllo. E la scena più dura da mandare giù, può sembrare strano, è quella in cui la palazzina è finalmente conclusa e come un sipario che cala sul peggior spettacolo andato in scena, dall’alto, con un montacarichi viene fatto scendere il bussolotto dell’ufficio vendite. Come dire: è tutto a posto, quel che c’è dietro è acqua passata. L’importante, adesso, è monetizzare.
Sullo sfondo resta il paesaggio laziale deturpato e vilipeso, le palazzine tutte uguali, sempre più affacciate sul Grande Raccordo Anulare che vengono su come funghi, le Centralità che sono realtà mentre i servizi che dovevano essere garantiti restano ancora ipotesi di lavoro; i centri commerciali vivi e vegeti (sarà stata casuale la scelta di Luchetti di girare all’interno di Porta di Roma?) e tutt’intorno il vuoto cosmico di zone di sterpaglia ancora da mattonare.
Nei giorni in cui La nostra vita trionfava a Cannes ed Elio Germano premiato come miglior attore protagonista dedicava il film “agli italiani che fanno grande l’Italia nonostante la nostra classe dirigente”, in quegli stessi giorni la Regione Lazio cancellava con un colpo di spugna l’operato di chi più di qualsiasi altro ha combattuto contro l’illegalità le mattone selvaggio a Roma e non solo. Una lotta senza sosta a colpi di ingiunzioni di abbattimento e ruspe e a costo di pesanti minacce e ritorsioni personali. Parliamo di Massimo Miglio, già ex capo dell’ufficio antiabusivismo del comune di Roma - rimosso dalla giunta Alemanno dopo dieci anni di lotta ai furbetti del mattone - riabilitato nel suo ruolo dalla Regione guidata da Marrazzo e ora, con la gestione Polverini, di nuovo esautorato dal suo ruolo. Una vicenda che non trova spiegazioni logiche, visto il posto di Massimo Miglio non è stato finora occupato da nessun altro, ma allo stesso tempo grottesca per le modalità con cui si è svolta: il dirigente dell’antiabusivismo ha compreso di essere stato allontanato solo dal sul badge che ai tornelli non dava segni di vita. Disattivato, è stata la motivazione sommaria immediata.
Sorpreso, ha chiesto spiegazioni e pochi minuti dopo si è trovato davanti la lettera retrodatata al 27 maggio con la quale di fatto veniva sollevato dal suo incarico. Senza alcun preavviso. Una situazione che riporta indietro di un paio d’anni, quando a Massimo Miglio la rimozione dall’omonimo ufficio, allora comunale, venne comunicata via fax. Oggi come allora la decisione dei dirigenti locali appare incomprensibile, data la natura aggressiva e violenta dell’edilizia romana e laziale e rispetto alla quale nessuno può vantare le competenze di Miglio. Ricordiamo che tra il il 2003 e il 2008, quando l’Ufficio Antiabusivismo era al Campidoglio, a Roma erano stati abbattuti 550 mila metri cubi di volumetrie abusive, con 700 interventi di demolizione in dieci anni. La fotografia della capitale di quegli anni ritraeva una città violata e deturpata, abusata senza scrupoli anche grazie ai gangli corrotti delle istituzioni locali. Con l’allontanamento di Miglio il lavoro dell’intero staff dell’antiabusivismo andava al macero assieme alle competenze di chi aveva un percorso professionale riconosciuto sin dal 1999.
Nei mesi successivi all’azzeramento del fortino antiabusivi, le barbarie edilizie ricominciano in grande stile: i furbi del mattone sanno di avere via libera e ne approfittano. Ma subentra la Regione Lazio, che rileva le capacità che rischiano di essere smarrite, istituisce l’Ufficio Antiabusivismo e Massimo Miglio, per competenze provate, ne diviene il direttore.
Ricominciano le demolizioni e questa volta, in uno stile ancora più imponente. In ballo c’è la tutela dell’Agro Romano, insidiato dai vagiti del Piano Casa, c’è la preservazione delle isole, c’è una questione delicata come quella del litorale abusato e minato dalle infiltrazioni ma soprattutto c’è la tutela delle aree archeologiche. Fino a questo momento non si era potuto intervenire perché nei fatti la competenza di questo territorio, ad esempio, spettava al comune che con la rimozione di Miglio poteva evitare di intervenire. Significative le parole usate allora da Corsetti, minisindaco del primo municipio:
La lotta all’abusivismo è stata e continua ad essere una priorità per il I Municipio, impegnato da tempo a reprimere tutte quelle forme di illegalità che interessano il territorio del Centro Storico danneggiando e offendendo luoghi dall’indubbio valore artistico, storico ed archeologico nonostante l’impegno profuso in questi mesi nel contrastare gli abusi edilizi, il lavoro del Municipio si “arena” a causa dell’assenza del necessario supporto logistico-organizzativo che finalmente arriverà grazie a questa preziosa collaborazione con la Regione che passa anche attraverso la professionalità e la competenza di Massimo Miglio.
L’Appia Antica, minata da anni di insediamenti lussuosi quanto irregolari, torna a dominare i titoli dei giornali: la Regina Viarum si traforma in un set di demolizioni. I nomi di ricchi e potenti che sulle pietre miliari dell’antica Roma avevano costruito le loro villone vengono snocciolati uno a uno. E questo è possibile perché nasce una collaborazione tra municipi paesaggisticamente rilevanti e Regione per supervisionare e coordinare le attività di repressione e prevenzione dell’abusivismo edilizio.
Non finisce qui: vengono stipulati accordi tra le Soprintendenze, quella archeologica e quella ai Beni culturali: un asse di ferro che può permettere di reprimere gli illeciti edilizi senza incorrere in opposizioni vane. Sembra finalmente che ci siano le condizioni per portare a termine progetti troppo al lungo rimandati, e faticosamente avviati nell’estate del 2009. Il territorio laziale può rialzare la testa e chi rispetta le regole ne è ben contento.
Invece quando i tempi sono maturi per festeggiare un anno dalla nascita di questo strumento di repressione valido per competenza e professionalità (ma anche per risultati portati a casa) arriva la sforbiciata della Pisana. Forse una pura coincidenza dopo il contrasto senza sosta che Miglio ha opposto ai tanti barconi abusivi ormeggiati sul fiume Tevere. Forse. Fatto sta che Renata Polverini, neopresidente della Regione Lazio, ha operato nella stessa identica direzione che era stata del sindaco Alemanno. I due sono emanazione politica di un comune sentire. Ma quel che come cittadini ci si aspettava da una governante che ha tutto il suo passato nel sindacato era almento il preavviso di un licenziamento che di fatto risulta in tronco.
Restano ora due domande: per quanto resterà vacante la direzione dell’Antiabusivismo in Regione? E chi è il professionista, competente almeno quando Massimo Miglio, che avremo la fortuna di vedere a breve al suo posto a reprimere e ad abbattere gli scempi edilizi di chi non ha scrupoli?
Ciò di cui faremo veramente a meno è assistere all’abbadono del nostro territorio che aveva un guardiano attento e serio e che ora resta abbandonato come un prato senza recinto né sorveglianza. Proprio come quei cantieri descritti tanto bene da Luchetti, dove sul guardiano che scompare si fa prima a gettare un mucchio di terra che copra tutto invece che scavare e capire il prima possibile dei perché che tardi o presto torneranno a galla.
(Questo post è stato pubblicato sul blog di Chiara Lico)
Anni di cemento - 1999-2009: dieci anni di guerra al mattone selvaggio di Massimo Miglio, sceriffo senza pistola di Chiara Lico
Collana Eretica
184 pagine
ISBN: 978-88-6222-103-0