I gusti che non ti aspetti a spasso per il Lingotto
A conclusione del viaggio, un piccolo tour tra le primizie presentate durante l’ultimo Salone del Gusto organizzato da Slow Food a Torino. Una testimonianza della ricchezza gastronomica (spesso poco nota) delle regioni italiane.
A proposito di eccellenze territoriali, abbiamo deciso di agganciare un’ultima – breve – tappa al nostro viaggio nel Made in Italy alimentare. Un piccolo tributo a quanti cercano di tutelare la nostra tradizione gastronomica e di inventarsi nuove nicchie di mercato. Gironzolando per gli stand dello sconfinato Salone del Gusto di Slow Food abbiamo scovato cinque “chicche”. Dietro di loro, la passione di altrettanti produttori innamorati, nonostante le difficoltà, della propria terra e dei propri prodotti.
Chinotto ligure
Sembrava destinato all’oblio a causa della lunga procedura di lavorazione, le minime quantità disponibili e ricavi insufficienti. Invece, anche grazie al presidio Slow Food, questo agrume, coltivato in Liguria dal 1500, è tornato a nuova vita. I produttori lo trasformano in marmellate e gelatine gustosissime (amarognole, ma molto indicate con formaggi stagionati). E una sinergia con l’acqua Lurisia sta aumentando gli sbocchi economici per i pochi savonesi che ancora lo coltivano (a proposito: provate a indovinare qual è il colore reale del chinotto? Chi sta pensando a quello scuro di alcune bibite è sulla strada sbagliata).
Patate viola
Davanti a noi, un gruppo di inglesi le hanno mangiate crude, per errore. Pensavano fossero fette di salame. Questo tubero, tipico dell’Alta Langa, descrive invece la caparbietà di contadini convinti delle sue potenzialità. Ricche di antiossidanti, capaci di crescere quasi senz’acqua. «Coltivarle è faticoso perché il loro colore le fa confondere con il terreno», ci spiega Silvana Riggio. Una scelta di vita, la sua. Un ritorno alla terra che le ha donato una consapevolezza: «Da soli non si va da nessuna parte. Serve un nuovo tessuto di relazioni per vendere insieme le nostre specialità».
Cavolo trunzu
Dietro questo ortaggio, che nulla ha a che vedere con l’odore e il gusto del cavolo tradizionale, c’è l’ostinazione di Enzo Pennini. L’unico produttore a far parte per ora del Presidio attivato da Slow Food. Una battaglia solitaria ma nobile: tutelare questa varietà, in pericolo per la coltura intensiva del suo cugino più noto: anche tre raccolti l’anno grazie all’uso di concimi chimici. (Una curiosità: il nome “trunzu” deriva dall’epiteto con cui i catanesi apostrofano gli abitanti di Aci, area d’elezione del cavolo).
Peschiole nettarine
Vedendole, nove persone su dieci le confonderebbero con olive verdi. Sono invece una specialità di Vairano Patenora (Caserta), dove queste “mini-peschenoci” sono raccolte quando misurano un paio di centimetri e il nocciolo è ancora morbido. Le peschiole vengono quindi lavate, cotte in acqua, aceto e spezie, infine conservate in barattoli di vetro. Una delizia al palato: croccanti, compatte, un sapore decisamente caratteristico, che ha aperto a questo frutto le porte dei ristoranti specializzati in prodotti tipici.
Panettone all’aceto balsamico
L’azienda modenese che ce lo ha fatto assaggiare al Salone (La vecchia dispensa) ci ha permesso di ricordare che probabilmente il migliore abbinamento gastronomico ancora non è stato inventato. Per loro, l’accostamento tra il sapore del dolce natalizio per eccellenza e l’aceto di Modena è stata l’occasione per costruirsi una nicchia di successo, in Italia e all’estero. Tanto da aver provato un paio di esperimenti sulla carta ancora più arditi: i cioccolatini ripieni di balsamico e parmigiano e il sale di Trapani all’aceto. Il risultato? Ça va sans dire.