Anna Finocchiaro con marito rigorosamente indagato per abuso d’ufficio
Tra l’inutile chincaglieria politica, ormai ossidata dal potere, spicca un fondo di bottiglia che per anni hanno tentato di spacciarci per diamante. Si tratta della signora Anna Finocchiaro la quale non contenta di votare al senato la manomissione dell’articolo 18, su mandato della Bce, ringrazia pure la ministra Fornero per averlo attuato. E’ la firma, spero l’epitaffio, di un inciuciatrice di professione, che in 25 anni di Parlamento, non ci ha risparmiato i più disparati compromessi al ribasso col berlusconismo. Venticinque anni senza nulla di memorabile e tonnellate di cose da dimenticare.
La sua è una storia di rese e di catastrofiche sconfitte elettorali, di gaffe stratosferiche, di amicizie e frequentazioni sorprendenti, come quella con Salvo Andò a cui ultimamente si sono aggiunte anche ombre sulla correttezza personale per appalti ottenuti senza gara dalla società del marito. Ma è soprattutto un capitolo di quella classe dirigente italiana per la quale posti di rilevo e carriera politica arrivano senza alcun merito, ma solo per trascinamento. Per la quale le idee sono più un divertissement che una realtà e i rapporti personali, il quieto vivere, il favore da fare ad amici e avversari, gli interessi di famiglia, prendono il posto che dovrebbe avere la politica.
Così non c’è da stupirsi se la senatrice abbia iniziato la sua carriera politica nel Pci e oggi ringrazi per la svendita dei diritti sul lavoro: forse negli anni ’80 era più figo essere a sinistra, forse era un modo per scimmiottare il retaggio mazziniano di una famiglia “importante”. Giusto un gioco perché non capita a tutti di diventare funzionario della Banca d’Italia appena presa la laurea, così tanto, per non rimanere con le mani in mano prima dell’ingresso in magistratura. Così come probabilmente, la sopravvenuta “necessità” decostruisce l’inutile impalcatura e mostra a nudo l’anima del vlasto. Il quale anche se non è tagliato, anche se non conclude nulla, rimane sempre e comunque una promessa e dunque con il sedere bene al caldo sulle poltrone che contano.
Qualche giorno fa la Finocchiaro si è fatta beccare all’ Ikea con la sua scorta intenta a trascinare carrelli ed è stata vittima della canea dei giornali di destra che ormai azzanno un po’ alla cieca. Ma per il resto è sempre stata trattata bene dagli avversari che ne riconoscevano l’insostituibile valore come “ventre molle” dell’opposizione. E si ricorda una pagina di sperticati elogi sul foglio di Ferrara oppure quel memorabile scoop dell’Espresso che colse la Finocchiaro finalmente colta in amplesso con l’inciucio: “il 14 settembre 2002 oltre un milione di persone autorganizzate scendono in piazza San Giovanni a Roma per la manifestazione promossa da Nanni Moretti e Paolo Flores d’Arcais contro la legge Cirami. Qualche giorno dopo un giornalista dell’Espresso «intercetta» una conversazione tra la Finocchiaro e l’onorevole avvocato del premier, Niccolo Ghedini. Questi sonda una disponibilità della prima a trattare sull’ approvazione definitiva della Girami. Lei, sempre secondo l’Espresso, risponde: «Cercate di capire i nostri problemi… a partire dai girotondi… ». Come a dire che, sopite le proteste degli elettori, ci si può pure mettere d’accordo. Qualche giorno dopo, a una festa dell’Unità, un gruppo di girotondini furibondi la contestano e le chiedono conto dello scoop dell’ Espresso. Lei, come raramente le accade, perde la calma. Paonazza in volto, le vene che si gonfiano sul collo, esplode: «l’Espresso non è il Vangelo!». Voci dal pubblico: «E allora smentisci!». E lei: «Le smentite non servono a niente. Semmai si querela! ». Per la cronaca, la querela non è mai arrivata.” E’ il brano di un lunghissimo pezzo di Travaglio pubblicato da Micromega nel 2007 che la dice lunga sulla senatrice ringraziante.
Quasi quasi ci sarebbe da consigliarle di andare all’Ikea e di non uscirne mai più. Dopotutto sarebbe l’unico pezzo montato del catalogo.