Il mondo evolve e l’unica vera costante, nel mercato del lavoro, è che la disoccupazione giovanile cresce insieme a lui. Gli anni Ottanta, con il boom economico degli yuppies e le carriere a tanti zero sono un ricordo: ormai ci si destreggia in una selva fatta di stages, apprendistati e tirocini, qualunque sia la propria aspirazione professionale.
Ma non è così per tutti. A parte, infatti, il gran numero di universitari che combattono quotidianamente contro enormi tomi pieni di nozioni, che un giorno diventeranno liberi professionisti in uno di quei lavori “rispettabili” che andavano tanto bene una o due generazioni prima, si sono formati gruppetti sparsi e creativi di persone che fanno “altro”. Ma non per questo sono meno occupati o fortunati nel rendere redditizia qualche passione, o qualche loro attività.
I lavori che i genitori non capiscono
L’inizio di questo processo è forse stato quando una serie di vocaboli anglofoni ha fatto violentemente irruzione nel lessico comune ed in determinati impieghi. Anche chi aveva un lavoro che, tutto sommato, era da dipendente, cominciava ad essere un account, un reputation manager o altre mansioni un po’ fumose in cui doveva fare un po’ di tutto, senza riuscire a tradurlo e spiegarlo con una parola sola. Niente “avvocato”, “medico”, “ingegnere” o “giornalista”, insomma, ma “marketing qualcosa”. Poi il mercato del lavoro è diventato quel che è diventato, e la trama si è complicata ancora di più: l’esercito dei creativi e dei professionisti d’azienda border-line tra un ruolo definito ed un ruolo jolly ha dovuto farsene una ragione, rimboccarsi le maniche, e fatturare per conto proprio.
Ecco che così le nuove partite IVA, un po’ perché “so’ ragazzi”, un po’ perché “il mercato che è quel che è” non vale solo per i datori di lavoro, ma anche per i “freelance”, hanno reso ancora più confuso il loro ambito d’azione. E non c’è verso che – quando alla cena un po’ impegnativa coi genitori del ragazzo e della ragazza si trovano di fronte alla fatidica domanda “cosa fai nella vita?” – riescano senza eterne spiegazioni a dire qual è il loro mestiere a chi ha qualche anno in più. E che ha, implacabilmente, l’impressione che si stiano arrampicando sui vetri per non dire “niente” oppure il generico “faccio-cose-vedo-gente”.
I lavori che i genitori non capiscono 2.0
Ma non ci arrendiamo. Anche se ce ne dicono dietro di tutti i colori, da bamboccioni a choosy, a chi più ne ha più ne metta, ad un bel punto ci siamo stancati di provare ad infilarci su uno dei binari che, appunto, andavano bene negli anni Ottanta. E anche Novanta e Duemila, per carità, ma che adesso sono un po’ come il deserto dei Tartari. Chi ha la fortuna di avere una stella polare che brilla forte in cielo (chiamatela vocazione, chiamatela convinzione) può ancora navigare con la bonaccia, ma gli altri non devono per forza star lì fermi, senza saper che pesci pigliare. E sono numerosi gli esempi di persone che si inventano lavori nuovi.
Non per niente un termine che pochi anni fa ha sostituito il più banale “aprire un’attività”, con il termine – ben più cool – di “start-up”, è diventato un punto di riferimento per qualsiasi inserto economico, per qualsiasi workshop o convegno di interesse, per qualsiasi sognatore incallito che vorrebbe svoltare e diventare ricco dalla sera alla mattina.
Ebbene, oltre alle start-up c’è di più. Ci sono persone che seguono progetti di vita che sembrerebbero ai più assurdi. Che prendono il coraggio a quattro mani e approfondiscono aspetti che, qualche anno fa, neppure c’erano, nel lungo elenco delle professioni esistenti. E non sono solo i personal-shopper, i wedding-planner, i cake-designer, ma anche artisti di strada e saltimbanchi, life-coach, e mille altre possibili idee, con cui fare qualche fattura e raggiungere il potere d’acquisto necessario a sopravvivere, o a realizzare i propri obiettivi.
Ecco così come qualcuno lascia un lavoro classico per organizzare viaggi che portano attorno al mondo, o come qualcun altro si assume la noiosa responsabilità di fare le code per gli altri, tra sportelli e uffici pubblici. E lasciatecelo dire non sono lavori meno dignitosi di quelli che, un tempo, erano considerati i “lavori nobili”. Non corrispondono infatti, spesso, a minor preparazione od istruzioni, ma semplicemente ad un più alto livello di adattabilità ad un mondo così complesso che, per ogni porta che ci chiude, in realtà spalanca decine di spiragli invisibili.
Per cui date un’occhiata in giro, siate creativi, leggete questo numero e inventatevi una nuova professione, se non avete ancora trovato un posto preciso in questo pazzo triste mondo del lavoro!