Lezioni di libertà, esperienze di fuga. Vittorio Curtoni, Dove stiamo volando, postfazione di Giuseppe Lippi, Milano, Mondadori, 2012
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di Giuseppe Panella
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La produzione letteraria lasciata in eredità ai suoi lettori da Vittorio Curtoni risulta piuttosto esigua se paragonata a quella, molto ampia e di eccellente qualità, accumulata negli anni grazie al suo lavoro di traduttore, di redattore, di direttore di collana per le case editrici (La Tribuna di Piacenza, Armenia e Sperling & Kupfer di Milano) di cui è stato per lunghi anni l’animatore. Si riduce, tutto sommato, a un romanzo di media misura[1], a quattro brevi raccolte di racconti[2], a un saggio di ricerca e ricostruzione storiografica[3] e a un esile libretto che raggruppa i suoi elzeviri (con qualche incursione narrativa) pubblicati sul quotidiano “La Libertà” della sua città natale, Piacenza (il luogo in cui ha trascorso tutta la sua vita di intellettuale e di uomo[4].
Se si eccettuano alcuni racconti di nitida espressività (come, ad esempio, il più classico “La sindrome lunare” o il complesso tentativo di psicoterapia letteraria compressa in “Luce”), la narrazione pubblicata nel 1972 costituisce il suo lascito letterario più significativo. E anche se si tratta di un romanzo un po’ datato nei temi e nelle ossessioni che espone e che esplora, si tratta pur sempre di un testo narrativo di straordinaria forza espressiva proprio grazie alla ricerca formale che Curtoni ha condotto in esso e, soprattutto, attraverso di esso.
Questo tentativo di rinnovamento a livello di forma espressiva esibita come tale, un progetto largamente confessato dal suo autore ma non certo molto comune all’epoca, lo rende, in qualche misura, simile e contemporaneo a quello presente nel primo romanzo pubblicato da Mauro Antonio Miglieruolo, Ladro di notte, all’epoca soltanto un giovane aspirante autore che proprio lui e Gianni Montanari provarono a lanciare pubblicandolo proprio nel 1972 in Galassia, la collana letteraria che dirigevano per la Casa Editrice La Tribuna.
La trama del romanzo di Curtoni si può riassumere con una certa tranquillità: in un futuro non ben identificato in ambito temporale, una guerra atomica ad alta intensità con caduta di bombe in centri abitati fittamente popolosi, oltre a distruggere in parte la popolazione esistente, ha prodotto la presenza di molti esseri umani “mutanti” che portano sul loro corpo, sia con la loro mancanza di organi sia mostrando forme esteriori sgraziate o minute o ridicole, lo stigma delle radiazioni subite dalle loro madri prima della loro nascita.
Il Narratore della storia, Charles, non presenta caratteristiche sessuali precise e non sa attribuirsi con precisione a un genere unico: quando deve definirlo con un aggettivo che ne individui l’appartenenza a uno dei due sessi fisiologici, infatti, Curtoni ne usa la variante maschile accompagnandola sempre con quella femminile (questo, comunque, accade nel romanzo finché, con un’operazione chirurgica di apertura di una vagina artificiale, egli diventerà definitivamente una lei con caratteri sessuali molto più identificabili). I “mutanti”, dunque, recano sul loro corpo le conseguenze della caduta di bombe atomiche che hanno contemporaneamente raso al suolo le grandi città del mondo e costretto i superstiti a ricostruirle in modo provvisorio e incerto[5].
Per i loro caratteri fisici spesso orripilanti, sono stati ristretti e ammucchiati tutti in una località che viene denominata Ghetto e che si trova non lontana da Nuova Parigi. Charles viene convinto dal padre a recarsi nella località dove sono radunati i suoi simili per evitare maggiori persecuzioni da parte della polizia. Il viaggio verso Nuova Parigi compiuto in compagnia di Ivo, un essere piccolissimo che vive con lui da sempre, si rivela fondamentale per gli incontri che il ragazzo/a effettua nel corso di esso. Non solo si confronterà con una realtà umana che non conosceva affatto ma sulla strada farà incontri significativi: troverà, ad esempio, il contadino Jacques che gli chiederà di restare con lui, la moglie Jeannette e i suoi due figli, nonostante sia una creatura molto “diversa” da loro. Ma se pure Charles avesse avuto delle perplessità a continuare il viaggio, la donna di Jacques gli farà capire che non è gradito/a in quella casa e gli griderà in faccia come la sua condizione di “mostro” lo renda un reietto che è stato marchiato da Dio come futuro dannato. Ma, ancora più significativo, sulla strada per Nuova Parigi troverà Cristo che è ritornato sulla Terra per tornare a predicare il suo Verbo. Nonostante la tentazione di seguirlo, però, Charles deciderà di non andare con lui nonostante gli sia stato richiesto esplicitamente dal Maestro:
«Eppure, in fondo, qualcosa di mio si ribellava. Oh, era così dolce, così invitante, ma mi sembrava troppo facile, e probabilmente ingiustificato. – Era necessario che tu tornassi? – gli ho chiesto. – Molti anni fa – mi ha risposto – questo mondo è caduto nel peccato e la mia morte lo ha redento. Ho lavato col mio sangue le vostre colpe e le lance dei soldati hanno ferito il mio costato. Adesso siete di nuovo sull’orlo dell’abisso. Il demonio protende i suoi artigli sull’uomo e occorre un secondo sacrificio. Così ha deciso il Padre Mio, e io Gli ho obbedito. Volgeva attorno lo sguardo, carezzando le cose che i suoi occhi incontravano. Visto da vicino, era un uomo comune, identico a tanti altri? Un pazzo? O il vero figlio di dio, investito d’una missione tragica per la nostra salvezza? Non sapevo decidere… »[6].
Giunto finalmente a Nuova Parigi e ospitato nel Ghetto dopo una umiliante perquisizione da parte delle sentinelle che vi montano la guardia, si incontrerà con i “mutanti” che vi abitano.
Si legherà di grande amicizia soprattutto a Cristian con il suo bizzarro unico occhio in mezzo alla fronte, una sorte di Polifemo buono e sentimentale e poi a Nadine, una ragazza grassa, informe e sgraziata che sogna l’amore romantico (e riceve dagli uomini soltanto quello fisico).
Ma soprattutto si concederà completamente a Pierre, un ragazzo che si sorregge su una sola gamba, che si è perdutamente innamorato di lei. Per amor suo, Charles uscirà dal ghetto per sottoporsi ad un’operazione decisiva per il suo destino: un chirurgo apparentemente cinico e svogliato ma ancora convinto dell’importanza della propria professione la renderà definitivamente donna.
Ma quando si è ormai convinta di aver conosciuto la felicità con il suo uomo, esplode il dramma. Aizzati da Michel, un demagogo furibondo e illuso che è scappato dal Ghetto, i mutanti provano a mettere in atto un’insurrezione armata per prendere il potere e vengono totalmente sterminati.
Anche Pierre verrà ucciso nello scontro con i militari. Disperata, la ragazza fuggirà verso il mare dove si ritroverà di fronte suo padre. Scoprirà, con angoscia e orrore, che non si tratta del suo vero padre ma di un uomo che l’ha allevata e che poi si è innamorato di lei e che l’ha mandata verso il Ghetto dei “mutanti” perché, una volta fattasi operare, potesse essere usufruibile come donna compiutamente fornita di organi sessuali per il suo forsennato desiderio di possederla. Dopo essere stata violentata dal suo padre putativo, approfittando del sonno in cui è sprofondata, la ragazza, novella Judith, sgozzerà l’uomo con un temperino e si lascerà morire sulla sponda del mare, convinta del fatto che per lei non c’è più possibilità di scampo in un mondo desolato e inumano come quello in cui avrebbe dovuto vivere se fosse sopravvissuta.
Quello che fa la differenza rispetto ai romanzi di fantascienza di produzione italiana è lo stile cui Curtoni fa ricorso nella sua pratica di scrittura: teso e fortemente concentrato nell’uso di aggettivi e di avverbi, reso molto articolato dalle potenti e complesse subordinate che lo arricchiscono nel giro dei periodi che costituiscono la narrazione, in molti casi la prosa romanzesca del libro tende ad andare oltre il confine che la definisce per attingere, in maniera folgorante, al regime connotativo della descrizione lirica con l’uso di un calligramma[7]. L’ambizione di Curtoni, dunque, più sulla originalità della trama si concentra sulla novità di un progetto letterario che non si rassegna ai parametri del genere ma vuole mostrare le linee di fuga di una prepotente libertà espressiva.
NOTE
[1] Si tratta di Dove stiamo volando, pubblicato per la prima volta nel 1972 per la Casa Editrice La Tribuna di Piacenza, ristampato e riproposto in “Urania Collezione” del 2012, quasi una sorta di omaggio postumo alla sua carriera (ma pensato e assemblato da lui stesso e da Giuseppe Lippi prima della sua scomparsa).
[2] Le quattro raccolte di racconti di Curtoni sono: La sindrome lunare e altre storie. 8 racconti, Milano, Armenia, 1978 (alcuni dei racconti contenuti in essa vengono riproposti in Dove stiamo volando cit. ); Ciao futuro, Milano, Mondadori, 2001 (Urania 1406); Retrofuturo, con una prefazione di Valerio Evangelisti, Milano, Shake Edizioni, 1999 e Bianco su nero e altre storie, Milano, Delos Books, 2011 (il libro è uscito praticamente in limine mortis).
[3] Le frontiere del futuro. Vent’anni di fantascienza italiana (Milano, Nord, 1977) è la rielaborazione della tesi di laurea di Curtoni in Storia della letteratura italiana contemporanea discussa presso la Statale di Milano con Sergio Antonielli (prestigiosa quando sottovalutata figura di critico e di romanziere in proprio che sarà sempre ricordata con molto affetto dal suo vecchio scolaro).
[4] Il libro si intitola Trappole in libertà e fu pubblicato dalle Edizioni Pontegobbo di Piacenza nel 2004 Conservo ancora con affettuosa ammirazione la copia che Curtoni mi regalò con una dedica molto cordiale nello stesso anno di pubblicazione della raccolta, quando ci incontrammo per la prima volta a Piacenza.
[5] L’idea della mutazione genetica quale conseguenza del lancio di bombe atomiche nel corso di un grande conflitto generalizzato è anticipata nel racconto “Ritratto del figlio” del 1968 (presente ora in Dove stiamo volando cit., pp. 133-157).
[6] V. CURTONI, Dove stiamo volando cit. , pp. 43-44. Il capitolo “Il volto” in cui si racconta dell’incontro con il Cristo era stato espunto dalla prima edizione del romanzo e ripristinato per questa occasione. Peculiare caratteristica del romanzo è che ognuno dei capitoli che lo costituiscono hanno come intestazione il titolo di un film di Ingmar Bergman, evidentemente un regista come amato dall’autore.
[7] V. CURTONI, Dove stiamo volando cit. , p. 128.
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)