Una lunga stagione di morte. Serena Penni, Silenzio, Firenze, Mauro Pagliai Editore, 2013
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di Giuseppe Panella
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La protagonista del secondo romanzo di Serena Penni[1] non tace affatto – il silenzio come condizione felice dello spirito non le si confà molto, anzi per nulla.
Non solo ma la donna non si ferma mai ad ascoltare il silenzio da cui sostiene di essere circondata ma lo rompe continuamente, lo riempie di parole, lo affolla di ricordi e di voci (da questo punto di vista ricorda Desideria, la protagonista del romanzo del 1978 La vita interiore di Alberto Moravia, un autore quest’ultimo che Sandra Penni conosce molto bene[2]).
Chiara Castellani, “figlia di Maria Vittoria e Domenico Castellani”, come lei stessa specifica con precisione quasi anagrafica nel romanzo[3], parla continuamente con se stessa e monologa con una frequenza impressionante ricordando con insistenza ossessiva i momenti cruciali del suo passato.
Una vita che sarebbe dovuta scorrere apparentemente tranquilla a partire da una famiglia medio-borghese di belle speranze e con una base economica di una certa consistenza (la fabbrica di succhi e sciroppi Verafrutta sarebbe dovuta bastare a sostenerla con i profitti che realizzava ma naturalmente non basterà) diventa a partire da un certo giorno un incubo che non sembra avere fine e che, infatti, non ne avrà (conoscerà un epilogo provvisorio e un finale aperto ma non una vera e propria conclusione definitiva, anzi aprirà ad un possibile seguito in-finito).
Il giorno fatale sarà quello in cui Luca, il fratello della protagonista, si suiciderà, gettandosi dal sesto piano del palazzo romano in cui la famiglia Castellani abita.
Più vecchio di lei di qualche anno, il giovane aveva dimostrato per un certo periodo di anni una sincera vocazione come violinista prima di smettere di suonare e di parlare con chiunque: una vera e propria chiusura nei confronti del mondo, forse dovuta a un difetto fisico molto evidente (una delle sue gambe è visibilmente più corta dell’altra), forse dovuta all’eccessivo carico di aspettative di cui il padre industriale (che lo avrebbe voluto al suo fianco nell’azienda che sta andando male per una serie di investimenti sbagliati) e la madre un tempo bellissima lo hanno schiacciato.
Il suicidio del fratello Luca getta nello sconforto la ragazzina già schiva e mal tollerata dalle sue compagne di classe: il suo diario “segreto” viene aperto e letto pubblicamente da molti di essi e il suo contenuto angosciato e sconvolto conosciuto praticamente da tutta la scuola.
Il profitto della ragazza precipita a zero e, nonostante certe sue indubbie qualità di fantasia e di intelligenza, l’esame di terza media le va molto male: viene bocciata.
La famiglia non sembra prendersela troppo perché sembra che si aspettasse da un pezzo un simile risultato negativo ma Chiara respinge ogni tentativo di aiuto da parte della sua professoressa di Lettere, Emma Rosati, con cui sembrava che ci fosse un particolare legame di affetto e di comprensione. Turbata da quello che considera un abbandono voluto da parte della professoressa, Chiara si reca a casa sua e la graffia, come cercando di marchiarla, di sfregiarla.
La turba anche la necessaria conclusione dell’unico rapporto di amicizia che era riuscita a stabilire a scuola, quello con Veronica, la figlia di un diplomatico costretta a cambiare città e nazione con strabiliante frequenza: la ragazza andrà a vivere a New York e il loro connubio, fino ad allora molto forte, non avrà più alcuna possibilità di continuare.
Rimasta sola con se stessa e le sue voci interiori, la ragazza deciderà di dimostrare alla sua ex-insegnante di essere in grado di fare come lei e, dopo un brillante cursus studiorum al liceo, si laureerà in Lettere e diventerà insegnante anch’essa.
Ma la vita scolastica non la soddisfa affatto e il rapporto con i suoi studenti sarà pessima: il timore di essere derisa o non ascoltata (talvolta, infatti, si mette a balbettare mentre spiega) la assillerà costantemente. Anche con i colleghi non andrà meglio – solo con Elvira, una donna più anziana di lei ma con ambizioni ancora giovanilistiche e la volontà di continuare ad avere una vita sentimentale “vera” dopo il fallimento del suo matrimonio e il divorzio, ci sarà una possibilità di dialogo, anche se contrastato e reso incerto dalle evidenti differenze tra le due.
Anche Chiara (così si apprende attraverso lo sviluppo della narrazione) ha una separazione in corso con il marito Carlo che si è portato con sé il figlioletto Lorenzo, a lui affidato dal giudice per la manifesta instabilità mentale della madre.
Di conseguenza, la donna passa la sua vita da sola, in una casa vuota che pulisce compulsivamente da ogni granello di polvere e che gli sembra, tuttavia, sempre più sporca ogni volta che la spolvera o ne lava i pavimenti. La sua solitudine è riempita soltanto dal continuo rimuginare e ricordare gli episodi negativi della sua vita sui quali torna ripetutamente e che si racconta in continuità.
Sarà un episodio apparentemente minore – l’invito alla festa per il compleanno della sua amica Elvira – a far esplodere una spirale di violenza che la porterà a rendere palese una verità da lei stessa nascosta e tenuta profondamente celata nella sua interiorità di donna gravemente malata.
Durante lo svolgimento della festa, cercherà di sedurre (apparentemente riuscendovi) il nuovo compagno della sua collega, Raffaele, che sembrerebbe corrispondere alle sue aspettative di una vita sessuale rinata. Poi, accortasi che l’ interesse dell’uomo nei suoi confronti era ormai calante se non del tutto esaurito, lo seguirà di nascosto fino al suo negozio di antiquariato e, dopo averlo visto intrattenersi con un’altra donna, gli fracasserà la vetrina lanciandovi contro un sasso.
Questo gesto insano metterà sull’avviso Elvira che cercherà di capirne il perché (l’uomo le aveva dichiarato di non aver mai avuto rapporti con Chiara) e dal loro incontro molto burrascoso e violento scaturirà finalmente la verità: una rivelazione sconvolgente che capovolgerà tutto quello che fino ad allora era sembrato il resoconto veritiero di una vita squallida e fallimentare certo ma priva di quella follia dispiegata di cui mostrerà tutti i caratteri distruttivi e irreversibili.
La narrazione di Serena Penni è limpida, direi cristallina nella scrittura, durissima nella sua apparente levità nelle descrizioni psicologiche, quasi glaciale negli sviluppi narrativi che la costituiscono, incandescente nelle prospettive che apre.
Il suo personaggio principale non sembra mostrare alcuna esitazione nelle scelte che successivamente la sosterranno nelle sue azioni.
Da questo punto di vista, un esempio interessante della lucidità folle della protagonista potrebbe essere il momento in cui decide di “punire” la sua insegnante di Lettere Emma Rosati per non averla aiutata a superare l’esame di terza media mentre, invece, la ragazza si aspettava che questo accadesse:
«Non lo confesserò a Elvira, ma alcuni giorni dopo la bocciatura, una mattina di luglio l’energia oscura mi fece svegliare prima del solito, vestire di corsa e uscire senza dire niente ai miei genitori. Mi fece camminare per circa dieci minuti, salire su un autobus e scendere sotto casa di Emma Rosati. Suonai il suo campanello, e quando lei sentì che ero io, disse che era felice che fossi lì, che salissi pure: il piano era il terzo. Nella sua voce non c’era la minima inclinazione di sorpresa: “Madre traditrice”, pensavo, scalino dopo scalino, “madre traditrice”. Non lo confesserò a Elvira, ma quando Emma Rosati, in vestaglia, spalancò la porta, l’energia oscura rese il mio sorriso più falso e le mie unghie più affilate : – Ciao Chiara, benvenuta ! Senza dire una parola la colpii in faccia con violenza e le graffiai una guancia. Sapevo bene da dove venivano tutta quella forza e quel coraggio. Non lo confesserò a Elvira, ma ben presto vidi una goccia di sangue macchiare il viso di Emma Rosati, e fu quella goccia di sangue a riportarmi alla realtà. D’un tratto mi resi conto di cosa stavo facendo»[4].
La scrittura di Serena Penni è lucida e concentrata sull’oggetto che intende descrivere né si abbandona a considerazioni di carattere moralistico o a giustificazioni psicologiche: la follia è là e così il dolore e la mancanza di ogni speranza, tornite come un sasso levigato dal vento della mancanza di amore che strazia le viscere mai rese fertili della protagonista.
La discesa agli Inferi di Chiara, ballerina mancata e donna atterrita dagli uccelli (come in un famoso film di Hitchcock) non poteva essere resa in modo migliore, con meno parole inutili e con un pathos rappreso e segreto che nasconde, in realtà, una profonda compassione che non vuole mai, tuttavia, rovesciarsi e corrompersi in banale “pornografia sentimentale”.
NOTE
[1] Il suo primo romanzo era stato La stanza di ghiaccio, pubblicato dalla Casa Editrice ETS di Pisa nel 2008.
[2] Ha pubblicato, infatti, un saggio dedicato a “Beatrice Cenci” di Alberto Moravia, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2009 in cui metteva in relazione quest’opera teatrale poco conosciuta dello scrittore romano con altre sue opere narrative.
[3] S. PENNI, Silenzio, Firenze, Mauro Pagliai Editore, 2013, p. 129.
[4] S. PENNI, Silenzio cit. , p. 53.
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)
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