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I libri più vomitevoli del 2010 - posizione 10

Creato il 09 febbraio 2011 da Sulromanzo

“Tre” di Melissa P.Lunedì scorso vi raccontavo come la mia ossessione di seguire le novità editoriali sbirciando non solo in rete, anche nelle librerie della mia provincia, mi abbia donato nel tempo la fortuna/sfortuna di incontrare libri che magari non avrei mai letto. Un’ossessione che porta bellezza e bruttezza, a seconda dei casi.

Il 2010 per me è stato un anno disgraziato da tale punto di vista, ho letto non pochi testi davvero detestabili. Neanche a dirlo, rispetto ai miei gusti, opinabili, confutabili, ridicoli, gli aggettivi sceglieteli voi, io mi limiterò a esporvi la mia classifica.

So che è politicamente scorretto, per utilizzare un’espressione abusata, ma per capirci subito; qualcuno ha fatto notare che parlare di “vomito” sia poco nobile, ci sono persone dietro le quinte, professionisti, ore di lavoro, ecc. Giusto, vero. Eppure la qualità letteraria, per come almeno io la intendo, va oltre, varca confini di perbenismo, dovrebbe essere giudicata per quella che è, senza convenevoli o prudenze castranti. Aggiungendo un sorriso, che prendersi troppo seriamente non giova in nessun caso.

Un blog letterario lo immagino da anni così: complimenti se complimenti e stroncature se stroncature, di più: complimenti appassionati se serve e stroncature cattivissime se serve. Nel mondo della letteratura, in particolare della narrativa, viviamo un’epoca in cui la critica che stronca sta sbiadendo i colori, sta diventando meno arancione, meno gialla, meno blu, meno verde, sempre più grigia, talvolta né carne né pesce. E soprattutto, in maniera affettata, si parla troppo bene dei libri, non si riesce spesso a comprendere se siano piaceri all’amico, alla zia, al figlio della collega, all’amante del capo, alla cugina di terzo grado della sorella del cognato.

Sul Romanzo ha sempre voluto evitare i conflitti d’interesse, e non è facile, e qualche volta anche noi abbiamo commesso errori oppure turato il naso di fronte alla richiesta di una recensione “interessata” da parte di un collaboratore, eventi rari per fortuna, che ora proviamo a tenere sempre lontani. Più volte ho detto a qualche redattore “non facciamo furbizie”, i lettori ci seguono anche perché evitiamo le furbizie, cerchiamo anzitutto di rispettare chi ci legge. Ripeto, non è facile, ma vi garantisco come responsabile del blog che cerchiamo di essere attenti a questi temi (non faccio nomi, ma ho escluso in passato dalla redazione una persona che aveva scritto recensioni soltanto di libri di amici senza comunicarlo, ridicolo).   

Perché vi racconto ciò? Perché la classifica che ho tentato di compilare non ha, al contrario, motivi personali di tensione, non ho litigato con qualcuno degli scrittori o faccende simili. Non si basa sul suo viso esposto in copertina come ricordavo lunedì o frivolezze legate alla mia ossessione di ricerca di novità, ho semplicemente letto i libri che vi citerò fino al punto finale (non banale questa questione dato che conosco gente che recensisce un libro dopo avere letto dieci o venti pagine o sfogliandolo cinque minuti, ma come è possibile comportarsi così? Non mi sembra corretto).

Ho selezionato i peggiori romanzi del 2010 che ho letto, dieci per la precisione. Inizierò dalla bassa classifica, dal decimo, e ogni settimana, di mercoledì, andrò a ritroso fino al primo posto che coincide con il peggiore, quello che davvero mi ha provocato non solo conati, ma anche una bella arrabbiatura, perché non è accettabile che una casa editrice inganni i lettori in tale modo. Ma cominciamo con calma.

La decima posizione la regalo a “Tre” di Melissa P. (Giulio Einaudi editore, Stile Libero)

I libri più vomitevoli del 2010 - posizione 10

Melissa P. non ha bisogno di presentazioni: ha pubblicato “100 colpi di spazzola prima di andare a dormire” nel 2003 con Fazi, e con la medesima casa editrice “L’odore del tuo respiro” nel 2005 e “In nome dell’amore” nel 2006. Poi accade l’inaspettato, Einaudi, precisamente all’interno della collana Stile Libero, pubblica l’anno scorso “Tre” (forse New Italian Epic? …).

Ora, proviamo a riflettere.

Fazi ha fatto il colpaccio a suo tempo, considerato che il primo romanzo ha portato agli onori della cronaca nostrana e non solo il fiuto palese di Elido Fazi, generando visibilità e tanti bigliettoni di euro. Ma Fazi è Fazi, sappiamo essere una casa editrice che osa, che cerca di cogliere a volte le scosse sussultorie più discutibili della contemporaneità, non esiste una tradizione di lungo respiro, può e deve stare sul confine fra letterario e paraletterario, può e deve – opportunisticamente e intelligentemente – cibarsi di feccia letteraria per finanziare altri suoi splendidi progetti editoriali. Provate a comprendere il mio punto di vista, il rispetto verso Fazi è contemplabile, non stiamo parlando di una grande casa editrice, ma di una giovane media casa editrice che si scontra contro lo strastrastrapotere dei noti gruppi.

Ma Einaudi no, e no cazzo. Una storia, una tradizione, voci lontane che escono dalle tombe per dire: “Eh no!”. Io, perdonatemi, Repetti e Cesari non li capisco, non li voglio capire e da alcuni anni sono quasi infastidito. Certo, Stile Libero ha una sua identità di ricerca letteraria, tutto ciò che volete, però. Però. L’anno scorso hanno dato alle stampe “L’antiquario” di Julien Sanchez o “Devozione” di Antonella Lattanzi, ottimi, anche se lontanissimi uno dall’altro, ciò che un lettore appassionato non può che approvare, stimare.

Poi, qualche mese fa avevo letto la notizia e già mi ero scaldato, un giorno lo vidi in libreria, spalancai gli occhi e pensai: “Ma porca di quella…”. Perché ci si rimane male, come ascoltare una mamma elegante e gentile per mesi e per anni e poi vederla imprecare, non ha senso, è brutto, delude.

Non volevo esagerare con i miei pregiudizi, una sera, senza accompagnarmi a musica classica come faccio di solito mentre leggo, non avrebbe avuto senso perché “i capezzoli erano duri sotto il grembiule” e amenità simili, ho iniziato “Tre”.

Indignato? Scandalizzato? Ma no, un altro aggettivo: annoiato. E molto.

L’incipit: “Non volevano cambiare il mondo, sapevano che chi prima di loro aveva tentato aveva fallito. Volevano cambiare se stessi”. E brava Melissa, mi dicevo, meglio di Emerson o di Wittgenstein. Poche righe dopo e si intuisce subito uno degli argomenti affrontati: “Tutti e tre avevano in precedenza avuto occasione di condividere il proprio compagno o la propria compagna con qualcun altro o di essere, sovente, essi stessi l’altro”. La parola altro è l’ultima della prima pagina e già ero stanco, roba già vista, incipit da filosofa de noantri, insomma noia, tanta noia. Ma non volevo demordere. Ho fagocitato le 164 pagine con una voglia non rara di aprire la finestra e scaraventarlo contro la betulla che ho di fronte e che accoglie non poche mie lagne. Oltre il danno la beffa, ci sono i ringraziamenti:

“Rosella Postorino e Severino Cesari: perché mi avete dato terra e buona acqua per far germogliare, vento per crescere, fuoco per bruciare il non necessario”.

Anche la brava Rosella, no, ma perché? Perché?

“Marco Vigevano: i pesci hanno il naso ma non odorano”.

Non fatemi parlare, vi prego, non fatemi parlare.

Cosa è stato “Tre” per me?

La trama grottesca, i personaggi stereotipati e caratterizzati in maniera caricaturale, quando trovavo una subordinata che fosse degna del nome esultavo alzandomi in piedi con il braccio verso l’alto, quando ho letto alcune citazioni in latino volevo piangere, una lunga sequela di disgraziate banalizzazioni da far rabbrividire. Per non parlare di frasi a dir poco discutibili: “Attaccata al cornicione di un edificio di architettura parigina”… architettura parigina? Oppure roba da baci Perugina, leggete: “L’energia orgiastica beve dalla fonte cosmica dell’energia universale”.

O alcuni errori: “Erano le nove di sera, il sole ancora alto nel cielo”. A Buenos Aires alle nove di sera il sole alto nel cielo? Dove siamo, al circolo polare? Ho trovato altre sciocchezze simili.

Melissa P ha 25 anni, non è una scrittrice esordiente oramai, ci si aspetterebbe di più, ma certo, non è che possiamo pretendere tanto visti i precedenti. Ci si aspetterebbe più serietà anche da Stile Libero, perché sedici, in lettere sì, sedici euro per una merda del genere (citazione dal libro: “Il suo ano era stretto e grinzoso. Odorava di merda”) è un atto editoriale terroristico contro i lettori che vorrebbero fidarsi, non cadere sotto la scrivania svuotati nell’animo e traditi. E no Repetti e Cesari, e no!

Ho letto tutte le prove letterarie di Melissa P., all’inizio per curiosità poi negli anni per perversione, ma i giochi hanno sempre un finale, e questo è stato l’ultimo libro che leggerò di sua firma. Non ho più intenzione di perdere il mio tempo, di farmi venire i conati e gettare i miei soldi al vento. Risparmiateli anche voi.

Siamo soltanto al decimo, mercoledì prossimo ci sarà il nono, c’è molto di peggio, molto. Questo è solo l’inizio.


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