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I libri più vomitevoli del 2010 - posizione 6

Creato il 16 marzo 2011 da Sulromanzo

Boralevi

Dopo la settima posizione, oggi vi presento il mio sesto libro indigesto del 2010.

Premessa, doverosa. Lei non mi piace, a pelle non mi piace, non saprei come agire se mi chiedessero di buttare dalla torre Boralevi o Palombelli, perché appartengono a quel giornalismo melenso, spesso dolcemente accomodante o indulgente, o al massimo una rabbia istrionica e moderata, quello che ti porta a dire “che brava ragazza”, ma che sai essere artefatto come il seno e le labbra di Minetti.

Detto questo, ho deciso pochi mesi fa di affrontare il suo ultimo romanzo pubblicato da Rizzoli, con un’urgenza di smentirmi, sbagliando. Infatti, su un elemento posso contare quando leggo un libro: l’urgenza. L’urgenza di scoprire che cosa accada, l’urgenza di capire se le mie previsioni sulla storia siano corrette, l’urgenza di gustare nuove emozioni e intravedere paesaggi interiori magari nuovi o rari. Non so se avete presente quando si leggono alcuni passaggi di “Danubio”del grande Magris, un viaggio geografico che diventa mentale e viceversa. Qui invece gli spostamenti ci sono, ma la mente non prova urgenza di alcunché, perché annoiata nel girare le pagine, che fatica.

I nomi dei due principali personaggi possiedono un significato d’impatto, Ernesto? Uhm. E lei? Lola. Uhm. Il professorone di matematica che a un certo punto della sua vita pensa che l’inseminazione artificiale rappresenti una scelta obbligata e intelligente nella sua esistenza senza affetti, se non per i numeri. Il tema provocatore ci stava tutto, certo, proposto da Boralevi che non di rado si accanisce in TV nei suoi monologhi con rabbia moderata desta qualche sospetto, ma andiamo avanti. Poi c’è Michele, narciso e bello, che, guarda un po’, si sta conoscendo… la sua ambiguità è evidente, poteva mancare questo tema in un romanzo struggente del 2010?  Ovviamente no.

Ernesto vola negli Stati Uniti e, attraverso un’agenzia specializzata, una mamma messicana in affitto gli dona un pargolo, la faccenda non solo lo preoccupa, ma lo terrorizza. Così, dall’alto della sua mente infinita, forse obnubilata da integrali doppi e complessi calcoli algebrici, decide di delegare la faccenda alla giovane Lola, giovanissima ragazza che lavora come addetta alla pulizie in un ospedale. Neanche a dirlo, penserà lui ai bisogni pecuniari. La trama narra le peripezie mentali di Ernesto e di Lola, il primo afflitto dai sensi di colpa, la seconda colpita dall’istinto confuso di una adolescente cresciuta fra mille difficoltà.

Perché ho deciso di bocciare “Una vita in più” di Antonella Boralevi?

I motivi sono diversi, oltre a quelli già anticipati.

Boralevi

I vuoti spazio-temporali non danno ragione alla trama.

I due personaggi principali sono esagerati, o meglio, lontani dalla realtà, per non parlare delle scelte incredibili di Ernesto, che non regalano la complessità dei temi affrontati, anzi rischiano di essere banalizzati.

Il vuoto di amore che vive Ernesto si sfoga nella figura della madre, che serve come espediente, per nulla approfondito, quasi come un orpello inutile in una stanza.

La scrittura mi ha deluso, non basta certo il punto di vista differente fra il professore e Lola a colmare una narrazione linguistica debolissima. Se questo doveva essere un romanzo che raccontasse l’amore, era meglio chiederlo a Belen e Fabrizio Corona. Gli imprevisti e le scelte azzardate inficiano ulteriormente la trama, non trovando il più delle volte fondamenta nell’intreccio, costruito sulla sabbia colma di veri e propri *buchi* scenici.  

Le digressioni mentali di Lola sono tante, troppe.

Ciò che più mi ha infastidito del romanzo è la pretesa di incastrare tematiche delicatissime in una storia così banale, in particolare per questo motivo “Una vita in più” merita la sesta posizione.

Se lo avete letto, vi ritrovate in quanto ho scritto o voi lo avete apprezzato?

A mercoledì prossimo.


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