Ci siamo lasciati alla nona posizione, ora ci stiamo addentrando sempre più nei titoli caldi della classifica.
Necessaria una premessa; necessaria perché a volte le parole producono ferite e allora è giusto che vi dica alcune cose.
Perché utilizzare il termine “vomitevoli”? Non sarebbe stato più corretto preferire aggettivi meno duri?
Sì, devo dire che ripensandoci si poteva titolare questa classifica con altri termini, l’immagine del vomito è forte, poco diplomatica. Come ho scritto in altre occasioni, non dobbiamo mai dimenticare che dietro a un libro non c’è solo l’autore o l’autrice, ma una squadra di persone che ha partecipato alla pubblicazione. Quando si dichiara che un libro è “vomitevole” si intende semplicemente sostenere che di quel libro non soltanto se ne poteva fare a meno, ma che ha scatenato anche fastidio perché magari ci si è sentiti presi in giro o almeno non rispettati come lettori. Gusti opinabili, evidente. Non si sta dicendo che chi ha partecipato alla pubblicazione del libro sia un idiota, ma si prova a dare un giudizio sul libro, ripeto, sul libro, non sulle scelte che hanno portato in atto la realizzazione del libro.
Una persona mi ha scritto facendomi notare che un testo, grazie ai suoi guadagni, potrebbe pagare affitti, mantenere famiglie o fare crescere con dignità figli. Vogliamo davvero porla su questo piano? Perché se è così allora potremmo, tanto per citare un esempio attuale, ritenere che sia giusto vendere armi alla Libia perché si mantengono famiglie. Oh certo, peccato che quelle stesse armi vanno a rovinare altre famiglie. Esempio estremo? Esempio che non c’entra con un libro? È chiaro. Ma lo cito per comunicare quanto i piani di giudizio siano differenti, non si può giustificare una scelta soltanto sulla base delle conseguenze (pagare affitti, ecc.), a volte è auspicabile valutare l’azione in quanto tale, e l’azione nel nostro caso è una sequela di parole che crea trama, personaggi, situazioni narrative, indipendentemente dai guadagni sui diritti d’autore e conseguenti azioni. Faccende importanti, ma sono altri livelli di giudizio, non inclusi in questa classifica.
Un libro che io ritengo vomitevole può senza dubbi provocare situazioni piacevoli e più che dignitose per chi ne è coinvolto. Nessuno credo che possa negarlo, tanto meno il sottoscritto.
Andiamo oltre.
Avevo letto altri suoi libri anni addietro, non è mai stato uno dei miei scrittori preferiti, non mi sento in linea con le sue narrazioni, forse pretendo di più da una storia, forse non sono in grado di capirlo, forse non mi sforzo nella maniera sufficiente per capirlo. Qualsiasi sia la ragione, non mi è piaciuto il suo ultimo romanzo, per nulla. Mi erano giunte voci discordanti, avevo letto questa recensione di Geraldine Meyer e altre, mi dicevo che più di cinquecento pagine forse non ne valeva la pena, poi ha dominato la curiosità e così per circa tre settimane mi sono perso nelle vite di Claire e Daniel, uscendone alla fine svuotato, oltre che deluso.
Non so quanti di voi abbiano letto almeno un libro di Moccia, De Carlo, in “Lei e lui”, è soltanto un pizzico sopra: i luoghi comuni abbondano, rasentano il ridicolo in non rari casi, le coincidenze forzate, i dialoghi sono meglio della valeriana per dormire e spesso innaturali, i colpi di scena esagerati, un concetto di “normalità” inesistente, tutto è meravigliosamente originale, la puntigliosità ottocentesca russa in certe descrizioni che stride contro l’inconsistenza di numerose situazioni narrate.Capiamoci, De Carlo ha una bella scrittura, scorre fluida, ma da uno scrittore di lunga data come lui pretendo di più, vorrei di più, non un lungo lunghissimo romanzo costruito per sostenere quanto già all’inizio si sapeva, per non parlare dell’orribile finale.
Chi ama De Carlo avrà magari letto con piacere il suo ultimo romanzo, all’amore non si resiste, per essere aulici basterebbe un vomitino delicato per far strappare i capelli agli affezionati più fondamentalisti, un po’ come accade agli amanti di Volo, Boralevi, Mazzantini, Camilleri, insomma autori che non si rinnovano nelle loro opere, un po’ come Nek che canta da anni le solite manfrine. C’è chi si aspetta di trovare una manfrina per essere coccolato da una certa *famigliarità* narrativa e chi vuole stupirsi leggendo un autore.
Per quanto mi concerne sono stanco di manfrine che producono soprattutto fatturati. Dignitosi fatturati, ma pur sempre ritornelli già visti.
Posso volere di più dalla narrativa contemporanea e dagli scrittori di lunga data? O sbaglio? Come lettore devo soltanto subire o posso chiedere di più?