Eccoci alla nona posizione, dopo la decima della settimana scorsa. Qualcuno storcerà il naso, soprattutto perché questo libro ha raggiunto l’ultima fase d’un premio letterario prestigioso.
Tanti ne hanno parlato con entusiasmo, anche se la critica si è divisa.
“Tutto quello che non sopporto ha un nome.
Non sopporto i vecchi. La loro bava. Le loro lamentele. La loro inutilità.
Peggio ancora quando cercano di rendersi utili. La loro dipendenza.
I loro rumori. Numerosi e ripetitivi. La loro aneddotica esasperata.
La centralità dei loro racconti. Il loro disprezzo verso le generazioni successive”.
E via tutta una serie di idiosincrasie, una che incalza l’altra. Mi sono avvicinato alle avventure di Tony Pagoda con sospetto: Paolo Sorrentino, noto regista e sceneggiatore, non è mai stato fra le mie simpatie più care, così quando venni a sapere che il suo romanzo per Feltrinelli era finito anche nella celebre cinquina mi sono detto: “Uhm”. Un uhm che ha generato in me curiosità.
Subito, dopo avere finito “Hanno tutti ragione”, ho pensato che mi aveva lasciato l’amaro in bocca, mi aspettavo di più.
In un secondo momento ho ripensato “a freddo”, con calma, e ho rincarato la dose con alcune domande: che cosa c’è di nuovo in questo libro? Nulla. Mi sono divertito a leggerlo? No. Rischiavi di addormentarti? Spesso.
Non mi sono espresso così all’inizio, forse il momento che stavo vivendo, forse l’urgenza di definire, altri forse, se vi fosse stata la necessità d’un voto avrei dato un cinque e mezzo. Ma il tempo non solo mitiga gli animi, rivela anche interpretazioni nuove.
Non era amaro in bocca, no, qualcosa di più, mi aveva deluso. No, qualcosa di più: mi aveva fatto schifo quel libro. Accade che ci si faccia confondere dai nomi delle case editrici (Feltrinelli) o dei personaggi (Paolo Sorrentino) o dagli amici che te ne parlano con gioia (“questo lo devi leggere, è una bomba”). Un’operazione di distacco dall’ambiente in cui si vive alla ricerca del proprio giudizio, non dico con obiettività, o peggio in maniera esaustiva, almeno con un minimo di rispetto verso i propri precari parametri di giudizio.
Così sono passato attraverso tre fasi: dal ni, al no, al “chi me l’ha fatto fare di leggere ‘sta roba?”.
Cosa è stato “Hanno tutti ragione” per me?
Sorrentino è furbo. Furbissimo.
Il Pagoda è una certa idea di italiano che in tantissimi detestiamo, perché rappresenta la degenerazione di comportamenti che si conoscono bene e che si trovano nel vicino di casa, nel parente stretto o nel politico (cocaina inclusa o non inclusa). In lui tutto è esasperato. Non è il fattore temporale dentro cui è ambientata la trama che cambia le carte in tavola. Trama? Dov’è? Qualcuno mi dica dov’è la trama.
Non bastano alcuni cambi di scena, ripeto, cambi di scena… per costruire un romanzo; non bastano un cazzo e un’altra parolaccia a rendere antipatico un personaggio; non bastano verità da Bignami in formato coccoloso per rendere un po’ saggio quanto si descrive.
Qualcuno ha parlato di frammentarietà geniale, a me è sembrato frammentariamente debole, debole leggere e rileggere gli infiniti pensieri di Pagoda che si ripetono sempre uguali, non nella forma, ma nella sostanza è prevedibile e quando qualcosa è prevedibile diventa noioso. E poi, diciamocelo, il desiderio di fare il maestrino è soporifero. Per non parlare dei riferimenti continui al sesso, e basta, che noia.
Non so voi, ma a un certo punto chi pontifica di continuo risulta non antipatico, si vorrebbe solo il silenzio da parte sua. Pagoda, taci.
Quanto ha contato il nome per questa operazione commerciale? Tantissimo.Quanto ha valso la pena leggerlo? Zero.
Quanto è ridicolo chi sostiene che “Hanno tutti ragione” necessita di tempo per comprenderlo? Molto.
Non c’è nulla da comprendere, un libro brutto, costruito ad hoc per fare incazzare ulteriormente i lettori, tentando così di farli stupire dalle possibili affermazioni di reazione già previste dall’autore (“Vedi? Lo penso anch’io” o “È così, è proprio così”); non dice nulla di nuovo, sai già tutto prima di leggerlo.
Attenti al giochino che vi faccio fare. Leggete nuovamente la parte iniziale del libro, da pagina nove a pagina tredici. Poi tornate subito indietro e cercate dove vi sono le informazioni di Feltrinelli e guardate in basso a destra: Il razzismo è una brutta storia. Eh già, è proprio una brutta storia.
C’è chi lo preferisce come regista, io neppure con questo mi posso consolare.
Conclusione: mi sono altresì chiesto con serietà quanto questo libro sia farina del sacco di Sorrentino o se invece vi siano quattro mani celate. La notorietà fa vendere, perché non fare qualcosa anche nella narrativa?
A mercoledì prossimo. C’è di peggio, uhhhh se c’è di peggio…