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I LIMITI DELL’ANTROPOLOGIA TEATRALE #teatro #ricerca #scienza

Creato il 06 ottobre 2014 da Albertomax @albertomassazza

maschere balinesi

Il teatro è sempre stato un fenomeno antropologico, sia dal punto di vista biologico, come rapporto extra-quotidiano del corpo con l’azione scenica, sia dal punto di vista culturale, come ricettacolo delle tradizioni e delle conoscenze delle comunità di riferimento. In queste direzioni, si è sviluppata una ricerca, pratica ma non scientifica, volta ad ottimizzare la resa dei mezzi scenici, sia in funzione atletico-espressiva che identitario-culturale. Per secoli, in ogni specifica tradizione, in oriente come in occidente, la rappresentazione teatrale ha stimolato una naturale riflessione sulle dinamiche delle azioni sceniche, sia sotto l’aspetto meccanico che sotto quello creativo; riflessione che è andata a verificare ed arricchire il bagaglio tecnico degli attori. Fino alla nascita della moderna ricerca teatrale, sul finire del XIX secolo, questa riflessione è rimasta a circuito chiuso, in quanto circoscritta agli addetti ai lavori del teatro, senza l’ausilio di una comparazione scientifica. Nella Commedia dell’Arte, ad esempio, la preparazione dell’attore prevedeva un rigoroso allenamento psicofisico che coinvolgeva tutti i mezzi attoriali: corpo, voce e interiorità. Ma in tutte le più importanti tradizioni teatrali, indipendentemente dalle coordinate geografiche e dal periodo storico, è evidente una ricerca costante volta all’approfondimento delle tecniche di rappresentazione.

In reazione alla fossilizzazione stereotipata del teatro borghese naturalista, gli innovatori della scena iniziarono ad indagare sulle origini fisiche e culturali della rappresentazione teatrale, nell’intento di rivitalizzarla. Allo stesso tempo, un antropologo come Malinowski, inaugurando la ricerca sul campo partecipata in Oceania nel 1914, si avvaleva della colaborazione di uno scrittore, pittore e uomo di teatro come Witkiewicz. Se personalità come Stanislavskij, Mejerchol’d, Brecht e Piscator si soffermarono sul lavoro sulla coscienza dell’attore e sul suo rapporto col pubblico, in Francia Copeau si avviò verso un ritorno alle origini del teatro occidentale, mentre Artaud, convinto dell’impossibilità di rivitalizzare la tradizione occidentale, si rivolse all’altrove culturale delle Danze Balinesi e della ritualità sciamanica dei Tarahumaras. Nel dopoguerra, Grotowsky ha sviluppato queste ricerche, rimanendo comunque restio a codificarle in un sistema compiuto. Sulla sua scia, Eugenio Barba ha sentito la necessità di far convogliare queste ricerche in una scienza del teatro, l’antropologia teatrale, individuando delle regole universali nel teatro come fenomeno extra-quotidiano, contrapposte a quelle che reggono il quotidiano. Se nella vita normale si tende a ridurre al minimo la fatica, in teatro si tende a fare il massimo sforzo; la stabilità e la staticità come posizione di partenza dell’azione quotidiana, nell’azione teatrale vengono sostituite dalla precarietà dell’equilibrio e dalla dinamica delle opposizioni; ciò che è illogico, incoerente nella vita normale, in teatro può essere rappresentato con credibilità, con coerenza. Inoltre, Barba ha sperimentato sul campo una sinergia tra teatro e antropologia culturale con la formula del Baratto Culturale, vale a dire la condivisione degli spazi in piccole comunità rurali, con l’offerta della rappresentazione in cambio dell’ospitalità.

Se l’antropologia culturale ha indubbiamente arricchito il teatro, affermando una disciplina della creatività capace di riavvicinarlo alla sua origine sacrale, l’approccio scientifico e l’eccessiva coscienzializzazione dell’attore hanno ridotto gli spazi dell’hic et nunc, già in crisi d’identità per il sempre più labile rapporto col pubblico, fondamentale attore nel qui e ora, nella generale decadenza dell’educazione teatrale nella società. Il rigore scientifico nell’auto-riflessione ha avuto come conseguenza lo svanimento dell’incombenza dell’imprevisto, vale a dire quell’equilibrio precario morale su cui si reggeva la magia dell’hic et nunc. Lo stesso imprevisto non da più occasione all’estro di misurarsi, ma è divenuto un problema squisitamente tecnico. Una tale prospettiva scientifica ha avuto, come naturale approdo, la didattica. Nata per rivitalizzare il teatro, riportandolo in un orizzonte mitico-sacrale, l’antropologia teatrale ha avuto spesso un atteggiamento  da medico legale che svolge l’autopsia, piuttosto che da demiurgo di una rinnovata coscienza civica della rappresentazione.



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