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LA REGIA TEATRALE #teatro #messainscena #regista

Creato il 26 luglio 2014 da Albertomax @albertomassazza

teatralitàDa sempre il teatro ha richiesto una o più figure che dessero una linea per la messa in scena di drammi e tragedie. Nella Grecia dell’epoca tragica, erano gli stessi autori a dare le direttive sul modo di porgere il testo e inscenare l’azione, consuetudine che si è perpetuata anche in epoca moderna. Nel III atto dell’Amleto, nel discorso del principe agli attori di giro giunti al castello di Elsinore, si avverte la necessità del genio di Stratford di dare un’impronta alla messa in scena, nella direzione dell’essenzialità del gesto e della parola. Con la Commedia dell’arte si assiste a due importanti novità: la formazione di compagnie che condividevano gli spazi quotidiani, ben oltre le necessità direttamente derivanti dalla messa in scena, favorendo così un approccio più sistematico alla propedeutica al teatro; l’accentramento delle responsabilità della messa in scena nella figura dell’attore più esperto, il capocomico. Questa figura, destinata a durare fino alla prima metà del novecento, se da una parte rappresentò una tappa fondamentale nel cammino verso la regia propriamente intesa, dall’altra favorì la personalizzazione dei lavori teatrali da parte degli attori di grido, con conseguente asservimento delle opere alle loro esigenze istrioniche. In questo modo, si affermò nell’ottocento la figura del mattatore, dominatore della scena e del pubblico, spesso in contrasto con la filologia e la volontà degli autori.

In reazione allo strapotere del mattatore, negli ultimi decenni del XIX secolo si sviluppò la tendenza al recupero della filologia e della coralità delle interazioni tra gli attori e gli elementi scenici. I primi a muoversi in questa direzione furono i Meininger, compagnia fondata e diretta dal duca di Sassonia-Meiningen Giorgio II. Sulla loro scia, André Antoine, primo regista moderno in senso compiuto, fondò il Theatre Libre con l’intento di riportare il teatro ad essere specchio fedele della vita, senza edulcorazioni e guitterie di sorta; analogo intento venne portato avanti dal berlinese Otto Brahm. L’opera di uomini di teatro come Adolphe Appia (La messa in scena del Dramma wagneriano), Edward Gordon Craig (La supermarionetta) e Max Reinhardt portò avanti innovazioni fondamentali, come l’utilizzo della luce elettrica, la praticabilità degli elementi scenografici (anche astratti) e la ricontestualizzazione delle opere classiche. In Russia, con il lavoro di artisti e teorici come Stanislavskij, Mejerchol’d e Vachtangov, accanto alle innovazioni nella messsa in scena, si avviò un percorso di studio sistematico volto alla codificazione di una propedeutica teatrale rigorosa per la formazione degli attori. Ulteriori progressi furono fatti da Erwin Piscator, fautore di un teatro in grado di recitare il suo ruolo politico nella società in Germania, e Jacques Copeau in Francia, interessato al recupero della sacralità del teatro. Più teorico che pratico, l’intervento di Antonin Artaud aprì la strada a una rinnovata interconnessione del teatro con l’antropologia culturale, alla riscoperta degli impulsi basici che generano l’esigenza della teatralità tra gli uomini.

Su queste basi, dal secondo dopoguerra il regista ha assunto una centralità sempre crescente. L’avvento di figure carismatiche quali i polacchi Grotowsky e Kantor, il britannico Peter Brook e l’italiano Eugenio Barba ha ulteriormente consolidato il prestigio della regia, fino a considerare il regista come il vero autore della messa in scena teatrale. Da una parte, ciò ha portato ad allestimenti tecnicamente sempre più rigorosi nella preparazione degli attori e nella cura degli elementi scenici; dall’altra, ha portato i registi ad atteggiamenti analoghi a quelli dei mattatori dell’ottocento, degenerando fino ad una vera e propria autocrazia che ha relegato il talento individuale in second’ordine, privilegiando l’attitudine degli attori alla coreografia e al rispetto assoluto delle direttive registiche.



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