C.F. Sørensen - L'affondamento della Re d'Italia a Lissa (1868)
La premessa narrativa e filosofica di questo romanzo è in nella prima opera propriamente verista di Verga, Vita dei campi (1880), che contiene la novella Fantasticheria, scritta in forma di lettera di un gentiluomo ad una nobildonna con cui ha visitato, in passato, Aci Trezza; nel corso del viaggio, la sua corrispondente era rimasta stupita di come, pur in un luogo bellissimo, tanta gente vivesse in uno stato di resa totale, continuando un'esistenza sempre uguale in una condizione perenne di miseria senza scampo. Il narratore di Fantasticheria risponde che, se una persona benestante trova tutto ciò grottesco e inconcepibile, per la povera gente quella vita immutabile ed essenziale, pur continuamente esposta alle sventure, alla malattia e alla morte, è però garanzia di sicurezza e portatrice di una speranza di resistenza in un mondo che tende al progresso ma che, per raggiungerlo, non esita a far strage di deboli; da qui viene il nome di Ciclo dei Vinti per la serie di romanzi che si apre con I Malavoglia e prosegue con Mastro Don Gesualdo, l'incompiuto La duchessa di Leyra e i due libri mai scritti, L'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso. Viene allora decritto il cosiddetto ideale dell'ostrica: questi molluschi possono sopravvivere solamente se rimangono attaccati insieme al loro scoglio, perché, se si staccassero tutti o uno soltanto, sarebbero travolti dalla corrente e portati alla morte; ugualmente la povera gente rimane appigliata alle proprie tradizioni, alla famiglia, al conforto della religione, ad un lavoro pur faticoso e infruttuoso, perché il tentativo di mutare la propria condizione li espone al rovinoso prorompere della fiumana del progresso (come è definita nella prefazione al romanzo), un «cammino fatale» in cui i deboli rimangono per via, sconfitti non solo dall'impossibilità di adeguarsi ai mutamenti, ma anche dalla corsa di chi è più agile e forte e non esita a calpestarli. Di Fantasticheria, I Malavoglia non riprendono dunque solo l'ambientazione e i personaggi (Padron 'Ntoni, Mena, Luca e la Longa sono chiaramente riconoscibili nelle allusioni ai paesani incontrati nel viaggio), ma anche la filosofia di fondo: il vecchio Padron 'Ntoni, cercando di tenere legato a sé il riottoso nipote e di trasmettergli i valori del sacrificio e della devozione alla famiglia, non tenta di far altro che trasmettergli l'ideale dell'ostrica, perfettamente incarnato da Mena e Alessi. Per l'anziano, che esprime con i proverbi della saggezza popolare una visione fortemente pessimistica dell'esistenza, i familiari devono essere uniti come le dita di una mano, perché senza uno di essi non si può sperare di fare e ottenere nulla, il che è tanto più evidente osservando il disinteresse e l'opportunismo del mondo esterno: Zio Crocifisso, Piedipapera, la Zuppidda sono quelli che si affrettano per arricchirsi e inseguire il progresso, senza farsi scrupolo di calpestare Padron 'Ntoni e tutta la sua famiglia.
G. Courbet, Le onde (1869)
Sebbene Verga, in linea con le scelte narrative del Verismo (oltre che del Naturalismo francese), opti per una narrazione impersonale che tenda alla scientificità, scegliendo di riprendere le vicende dei Toscano e dei loro compaesani da un'ottica esterna, il ricorso all' artificio di regressione, sperimentato per la prima volta in Rosso Malpelo (1878) e consistente nella scelta dell'autore di calarsi al livello della gente assumendone prospettive e modi espressivi, tradisce, mediante l'effetto di straniamento, una denuncia dell'iniquità delle situazioni descritte, della loro negatività e dell'ottica gretta e opportunistica di certi comportamenti, oltre che una profonda compartecipazione alle vicende dei protagonisti. E dunque, anche se mai si comporta come Manzoni auspicando una risoluzione provvidenziale o intervenendo con commenti e spiegazioni esterne, l'autore sceglie di metterci a parte della diffidenza del popolo di Aci Trezza verso il nuovo governo italiano o verso le innovazioni tecnologiche (i battelli mandando il pesce verso Agrigento, il telegrafo è una diavoleria), ma anche dell'autentico sentimento che lega Mena e Alfio, durante gli incontri dei quali le stelle ammiccano e il mare calmo fa sentire il suo russare.
I Malavoglia è indubbiamente un romanzo impegnativo, triste e amaro, come sono spesso i classici e i brani che hanno fatto la storia della letteratura. Spiegando ai ragazzi questo testo, è stato inevitabile - lo sarà sempre, forse, come del resto con Leopardi o tanti altri autori - scontrarsi con l'avversione, tipica soprattutto dei giovani, a subire tante storie di miseria e morte. Ma la letteratura è fatta anche di questo: è descrizione, non solo idillio, mestizia, non solo piacere e, in fondo, se dopo secoli un libro ha ancora qualcosa da dirci, significa che ci sono ancora le giuste corde che le sue dita possono toccare.
Di Giovanni Verga si può dire tutto, tranne che sia un sentimentale: eppure, come sottolineato per Alfio e Mena, ma anche nelle descrizioni delle emozioni controverse di 'Ntoni, è tutt'altro che indifferente e staccato da ciò che descrive, sente i suoi personaggi e, se anche non spiega i moventi nascosti - perché non fanno parte di ciò che l'occhio o l'orecchio possono registrare - tuttavia nessuno di essi rimane a noi celato, nessuna lacrima rimane senza causa, nessun gesto appare vuoto e inutile. Ne I Malavoglia tutto si tiene, e fra le pagine di questo romanzo sono condensate le profondità di tante esistenze.
I faraglioni di Aci Trezza
«Va', va' a starci tu in città. Per me io voglio morire dove son nato»; e, pensando alla casa dove era nato, e che non era più sua, si lasciò cadere la testa sul petto. «Tu sei un ragazzo, e non lo sai!... non lo sai!... Vedrai cos'è quando non potrai più dormire nel tuo letto; e il sole non entrerà più dalla tua finestra!... Lo vedrai; te lo dico io che son vecchio!» Il poveraccio tossiva che pareva soffocasse, col dorso curvo, e dimenava tristamente il capo: «"A ogni uccello il suo nido è bello". Vedi quelle passere? le vedi? Hanno fatto il nido sempre colà, e torneranno a farcelo, e non vogliono andarsene.»
«Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro!» rispondeva 'Ntoni. «Io non voglio vivere come un cane alla catena, come l'asino di compare Alfio, o come un mulo da bindolo, sempre a girar la ruota; io non voglio morir di fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani.»
«Ringrazia Dio, piuttosto, che t'ha fatto nascere qui; e guardati dall'andar a morire lontano dai sassi che ti conoscono. "Chi cambia la vecchia per la nuova, peggio trova".»
C.M.