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I marziani? Rimasti di sasso…

Creato il 20 agosto 2014 da Media Inaf
Frammenti del meteorite di Nakhla. Crediti: Wikipedia.

Frammenti del meteorite di Nakhla. Crediti: Wikipedia.

Erano circa le nove del mattino quando cadde sulla Terra. Un lontano mercoledì. 28 giugno 1911. I pochi rimasti a letto per godere della frescura mattutina – vogliamo immaginarli così – nel villaggio di El Nakhla El Bahariya, è probabile siano saltati sulle coperte, sotto i duri colpi del primo bombardamento che il governatorato di Alessandria d’Egitto abbia mai dovuto subire: quello di un meteorite, e per giunta marziano.

Da allora il Nakhla meteorite è stato oggetto di numerosi studi da parte della comunità scientifica, ma ancora oggi, a più di cent’anni dal suo ritrovamento, continua a riservare sorprese. Una nuova struttura ovoidale è infatti stata scoperta all’interno del meteorite: composta da nanocristalli di argilla e ricca di ferro contiene un’importante varietà di minerali e mostra segno di aver subito nel suo passato un trauma da collisione, in grado di causare la fusione del permafrost e il rimescolamento dei fluidi di superficie e sottosuolo.

In un affascinante articolo appena pubblicato su Astrobiology, e già disponibile sul sito della rivista, il team di ricerca che si è occupato dell’analisi della struttura ovoidale discute le ipotesi più probabili circa la sua origine e discute di come questa nuova scoperta possa avere importanti ricadute in ambito astrobiologico. Nell’articolo, A Conspicuous Clay Ovoid in Nakhla: Evidence for Subsurface Hydrothermal Alteration on Mars with Implications for Astrobiology, Elias Chatzitheodoridis della National Technical University di Atene, con Sarah Haigh e Ian Lyon dell’Università di Manchester, descrive l’utilizzo di una strumentazione mista e che spazia dalla microscopia elettronica ai raggi X, fino alla spettroscopia. Con l’obiettivo di avere un’analisi il più possibile completa della struttura ovoidale.

E anche se gli autori non credono che la formazione di questa struttura abbia coinvolto materiale biologico, di fatto questa resta una delle ipotesi possibili: esistono prove che nel sottosuolo marziano esistano nicchie ecologiche, ambienti specifici, capaci di offrire condizioni favorevoli alla vita, sostenendo eventuali forme biologiche.

«Questo studio dimostra quanto sia importante mettere in correlazione diversi pacchetti di dati scientifici quando si tenti di comprendere se una roccia contiene o meno bioindicatori dell’esistenza di qualsivoglia forme di vita», sottolinea Sherry L. Cady, PhD, caporedattore di Astrobiology responsabile scientifico del Pacific Northwest National Laboratory. «Sebbene gli autori non abbiano potuto dimostrare in maniera conclusiva che l’oggetto del loro studio fornisca la prova dell’esistenza di forme di vita, la loro strategia di ricerca ha rivelato una notevole quantità di informazioni circa la possibilità che il sottosuolo di Marte sia capace di ospitarne».

Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga


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