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I Maya: arte e civiltà (seconda parte)

Creato il 07 dicembre 2012 da Lory663
I Maya: arte e civiltà (seconda parte) Il rito funebre è quello che, a seconda delle regioni e della ricchezza del defunto, si svolge con più varianti: i più poveri seppelliscono il loro morto invariabilmente disposto in posizione accosciata sotto la casa, in compagnia di qualche rozza suppellettile che possa servirgli nel suo viaggio d'oltretomba o, in alcune località, lo tumulano in grandi fosse collettive che possono contenere anche 50 individui. I defunti di ceto più elevato, invece, non di rado usufruiscono di una grande tomba personale, composta di varie stanze, nelle quali viene posto un ricco corredo di vasellame e di gioielli, e che è facile da individuare anche a grandi distanze perchè su di essa si eleva un monticello artificiale, a forma di piramide. Durante il rito funebre, viene invocato Hanhau, il dio della morte, di cui i Maya hanno molto timore.
Ben diversa è la cerimonia delle nozze che si svolge in un'atmosfera più festosa: il giovane, infatti per divieto religioso, non può sposare una fanciulla del proprio villaggio, ma deve sceglierla in un villaggio vicino, e si comprende come, quando venga celebrato un matrimonio, non più solo una collettività sia in fermento, ma due. All'usanza del matrimonio "esogamico" (contratto cioè con una donna appartenente a un gruppo di un villaggio diverso da quello in cui vive l'uomo) frequente presso molte popolazioni primitive, i Maya hanno apportato una variante: non è la fanciulla , ma il giovane, che si reca ad abitare nel villaggio della sposa convivendo per cinque anni con i suoceri: è, questo, un periodo di prova, dopo il quale, se lo sposo non si mostrerà adatto per la figlia, il suocero avrà la facoltà di ripudiarlo e di scegliere per la giovane donna un secondo marito. In famiglia vale la volontà paterna, e i figli, fino a che non si sposino, vivono nella casa del padre aiutandolo nei lavori agricoli: alla sua morte i beni verranno divisi in parti uguali fra i maschi, e questa circostanza, cioè il rispetto della proprietà privata è senza dubbio una delle differenze più importanti tra la civiltà maya e quella degli Aztechi e degli Incas.
I Maya: arte e civiltà (seconda parte) Su questa popolazione pacifica, il capo-villaggio (o il yum se egli governa un territorio piuttosto vasto) non è arbitro assoluto; egli infatti, dipende dal batab (= generale), governatore della provincia che ha avuto questa carica per diritto ereditario e per meriti personali; costui, a sua volta, deve rendere conto dei propri atti all'halach uinich o "uomo vero", il quale abita in splendidi palazzi ed è circondato da una folta guardia del corpo, nelle cosiddette "città". Sono loro in realtà - i batab, l'halach uinich e i sacerdoti - i veri capi dei Maya, anche se la loro presenza non è costantemente avvertita. Il batab amministra al giustizia secondo una legge severa che punisce ogni crimine col sangue (anche se la pena di morte viene applicata solo nei casi più gravi), riscuote i tributi, in natura e in ore lavorative, che ogni villaggio è obbligato  a corrispondergli e, infine, quando "l'uomo vero" prospetti la necessità di una guerra, arruola gli uomini validi dei villaggi e si pone a capo dell'esercito da loro formato, Questi soldati improvvisati non posseggono  molto per difendersi e per offendere: una corazza di tela di cotone intrisa di sale, asce, mazze e lance di selce, e nel Nuovo Impero per influsso messicano, spade di legno e frecce con propulsori. Questo particolare -cioè la mancanza di un esercito permanente - dimostra una volta di più il carattere pacifico della civiltà maya: gli uomini sono chiamati alla guerra così come, quando l'halach uinich o i sacerdoti lo stabiliscono, sono chiamati a prestare la loro opera di muratori, di scalpellini di pittori o di scultori per l'erezione dei grandi edifici pubblici; poi tornata la pace o ultimata l'opera, ritornano al lavoro dei campi, nei villaggi sperduti delle foreste.
I Maya: arte e civiltà (seconda parte) Non sembra che, all'halach uinich e ai tre funzionari che lo assistono negli affari di governo, debba essere attribuita una grande partecipazione alla vita culturale dei Maya, e tanto meno in questo settore ha una qualche importanza la popolazione: sono invece i sacerdoti gli unici depositari della scienza. Il clero, diviso in vari ordini gerarchici e governato da un capo sacerdote con potere equiparato a quello dell'"uomo vero", è assai numeroso e costituisce una categoria a sé, rispettata e privilegiata. Ne fanno parte i sacerdoti minori che si interessano di magia e di medicina, e che vanno per i villaggi dando spettacolo di pubbliche guarigioni o, anche, ricevendo pubbliche confessioni, altri versati nelle scienze profetiche e nell'aruspicina (scienza praticata da certi sacerdoti, gli aruspici, che dall'esame delle viscere degli animali predivano il futuro), altri ancora incaricati di tenere vive le cerimonie rituali legate a determinati templi e, infine, nel Nuovo Impero, altri a cui spetta, in queste cerimonie, l'ingrato compito di eseguire i non rari sacrifici di vittime umane. Queste cerimonie religiose si rivestono di un fasto inaudito quando siano celebrate a Itzamnal (dedicata al culto di Itzamna, dio civilizzatore e proprio della stirpe maya) o a Chich'en Itzà e a Mani, luoghi di pellegrinaggio frequentatissimi nel Nuovo Impero dove si venera Cuculcan, divinità d'importazione tolteca. Per queste cerimonie accorrono in massa le popolazioni dei villaggi, abbigliate con complicati copricapi di piume, il viso dipinto e tatuato a motivi geometrici di colori convenzionali, le orecchie allungate da pesanti orecchini di ceramica, la fronte artificiosamente deformata dalla lunga abitudine alla stretta fasciatura, i denti dipinti di nero, limati o incisi e intarsiati con conchiglie e pietre dure; questa folla variopinta invade gli spazi attorno ai templi dove, per l'occasione, è convenuto uno stuolo numeroso di mercanti, che ha messo in mostra la propria mercanzia. Alcuni di loro vengono da regioni lontane, e prima di mettersi in viaggio hanno invocato la Stella Polare; ora vendono prodotti del suolo e selvaggina, ma anche oggetti d'artigianato, piccole statue votive che l'artefice-agricoltore si è accinto ad eseguire solo dopo un complesso rituale, e piume dell'uccello "quetzal" per i copricapi e le bordure degli abiti più ricchi, conchiglie e pietre dure. Né manca in quel giorno il grande spettacolo per la massa: si tratta di un gioco secondo il quale due gruppi di giovani tentano, in un'area adibita a questo scopo, di lanciare una palla attraverso un grosso anello di pietra infisso nel muro: questo gioco, che può essere considerato "nazionale" dato che viene praticato in tutte le città, ha un carattere rituale, strettamente legato alle cerimonie religiose.
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