Magazine Diario personale

I miei grandi classici

Creato il 05 settembre 2013 da Valeskywalker @valeskywalker
Nei meccanismi curiosi della testa di chi e' passato nel corso del tempo in tanti posti diversi, i negozi, i bar, i ristoranti, i cinema e certi palazzi sono spesso come delle piccole puntine da disegno sulla mappa geografica dei ricordi: rimangono capisaldi nella propria memoria, indissolubilmente legati ai luoghi che si frequentavano in un determinato tempo.
Peresempio
Fiorio = Torino La bellezza degli arredamenti di Fiorio, la bonta' del gelato di Fiorio preso dalla finestra da passeggio oppure la coppa Piemonte col cameriere che ti stappa e versa lo spumante sulla festa di nocciole e gelato, il buffet a pranzo, l'aperitivo la sera, il Cavour, il cappuccino dopo lezione, l'esame di Istituzioni di Diritto Romano, e' meglio il Trimarchi o il Torrente * , fai provare al polacco la coppa Piemonte e  cosi' via nei secoli che anche le bambine sono gia' clienti ufficiali.
Fiorucci = Milano Non quello che e' rimasto ora di negozio di Fiorucci, il Fiorucci di prima,quel luogo in corso Vittorio Emanuele dopo ci si trovava davanti, dove si andava a scoprire cosa c'era sotto quelle scale perche' anche se ti faceva schifo o era la plastica piu' cara del pianeta, era soprattutto un circo di curiosita' colorate vastissimo, a portata di piedi  prima che esistessero i low cost e andare a comprare qualcosa di figo a Camden o di chiccoso alle Galerie Lafayettes diventasse una possibilita' a portata di qualunque adolescente. E li' accanto c'era pure una gradinata dove si parcheggiavano i fidanzatini, intanto che le tipe andavano da Fiorucci. Io non ho mai avuto un fidanzatino e percio' da Fiorucci potevo star dentro quanto mi pareva ogni volta, a esaminare tutti quei vestiti e tutti quegli aggeggi e tutti quegli accessori che sembravano trasformare in un mondo vero i video di mtv, anche se ci ho comprato solo un portafoglio di plastica che cangiava decorazione (farfalle in un modo e non ricordo cosa nell'altro) a seconda dell'inclinazione. Si ruppe quasi subito e lo rincollai dentro con lo scotch,  ma anche da rotto ogni volta che lo tiravo fuori a Torino mi chiedevano tutti se era di Fiorucci e basta o di Fiorucci preso da Fiorucci a Milano, e al mio sorriso affermativo partiva un sospiro di plasticosa e colorata invidia.
Edoardo = Bruxelles. Ci sono tantissimi buoni ristoranti a Bruxelles e me ne vengono in mente altri tre alla stessa velocita' con cui ho pensato quello di Edoardo, che in realta' e' Gallo nero o Cavallo rosso o qualche altro Animale colorato, ma tanto lo si chiama tutti da Edoardo. Edoardo e' la classica trattoria dove in Italia non metterei mai piede: poco luminoso, con le foto delle squadre di calcio, statuine varie, ritagli di giornale ingialliti, calendari dei carabinieri di troppi pochi anni fa per essere vintage, percio' semplicemente scaduti, i tovaglioli di carta verde su tovaglia di carta bianca su tovaglia di stoffa rossa, il vasetto col fiore finto, il menu con ottomila piatti italiani tipici da Aosta a Trapani piu' le pizze e ti fanno pure quella hawaii perche' siccome e' dietro il Parlamento Europeo ci sono sempre sti mp nordici che quella pizza vogliono mangiare. Il padre sta alla cassa e offre il limoncello a chi decide lui, parlando in dialetto,  Edoardo va su  e giu' servendo ai tavoli, ordinando giu' per il montacarichi alla cucina e soprattutto facendo il galante con tutte le donne dai 18 a 99 anni, belle o racchie che siano, il compagnone con tutti gli uomini dai 14  a 99,lo zio di tutti i bambini. Quando parla italiano mescola col dialetto ereditato dai genitori e col francese belga, in quella che e' poi la lingua originale della Vallonia, creatasi dall'immigrazione di massa italica negli anni in cui gli italiani erano gli albanesi degli altri. Insomma Edoardo e' il tipico italiano di Bruxelles che lavora nel tipico ristorantino italiano di Bruxelles, pochi fronzoli, un po' zozzo, cibo classico ma buono, vino della casa che va piu' che bene. Quando tornai a vivere dai miei, lavorando di nuovo a Milano, Edoardo prese il mio posto nel mestiere di sfamare il Senator, che arrivato a sera nel nostro apparamento non aveva altro in frigo che pasta di acciughe, limoni e cubetti di ghiaccio, finche' non ripassavo per il weekend e gli cucinavo due kg di caponata con cui campare per quattro giorni. Edoardo offriva la sua allegra compagnia e cosi' le cene del Senator al tavolo da solo non erano mai tristi.  Ogni volta che torniamo a Bruxelles, con  tutti i bei posti dove possiamo andare a mangiare, per prima cosa torniamo da Edoardo.
Mi sono dilungata troppo e sto andando fuori tema: tutto questo spiegone e' infatti una premessa all'argomento opposto.
Se certi posti nella loro unicita' fermano i ricordi o li infilano ordinatamente nel corso del tempo richiamandoli a se', altri posti sono invece a centinaia tutti uguali nel mondo, e quando ci si entra dentro si potrebbe essere dovunque altro si e' gia' stati la' dentro.
Peresempio
Quando ci sono due nuvolazze grigie e vento mi ritrovo ad entrare da Marks & Spencer perche' nuvolazze grigie vento = Dublino e siccome un pezzo di Dublino nella mia mente e' anche il ricordo di pranzi all'ultimo piano di M&S su Grafton con la Mo e quei biscotti pieni di otto semi e cereali e cioccolato doppio fondente, ora che la Mo e' tornata a Milano e di motivi per andare a Dublino non ne ho, mi attacco proustianamente al double chocolate chuck cookie, che quando ci sono le nuvolazze ne ho proprio voglia di affondare i denti in quel pastone di biscotto da un milione di calorie.
Dovunque vada da KFC, mi ritrovo in viaggio con il Senator al venerdi' notte in un punto x tra Bruxelles e il luogo dove sabato pomeriggio  verra' celebrato l'ennesimo matrimonio polacco, nell'estate del 2007.
E poi c'e' il piu' grande classico del genere, almeno per tutti coloro che sono andati a vivere fuori di casa dagli anni Novanta in poi:  l'Ikea.
Da qualche parte ho letto che il 40% dei bambini europei con meno di 10 anni e' stato concepito su un letto Ikea. Quel che mi domando e' dove diavolo siano andati a comprare il proprio letto l'altro 60% di genitori.
Non c'e' nulla che teletrasporti ovunque come entrare all'Ikea, dove gli unici cambiamenti sono quelli dovuti al catalogo annuale, quando quel tale oggetto comodissimo e fighissimo che costava pure poco, inspiegabilmente non lo fanno piu' e tu invece contavi di comprarne tre alla prossima visita, ma aspettavi di finire l'ultima scorta di 43 pacchi di tovagliolini e 86 candeline rotonde basse, prima di tornare.
Entri all'Ikea e sei nello stesso luogo, indipendente dalla citta' all'esterno.
Esci dall' Ikea, ed entrando in casa di chiunque ritrovi un pezzo di casa tua, che e' una costola dell'Ikea di non importa dove. Kafka ci avrebbe scritto dei romandi interi, dentro l'Ikea.
Ho iniziato ad andare all'Ikea con i miei, a Torino, da ragazzina, nel tempo ci sono tornata con Sara: una volta siamo arrivate a destinazione con un tubo dell'Antonius che usciva dal finestrino della citroen, un'altra volta abbiamo battuto il record mondiale di mobili dentro una 500. Poi l'Ikea di Janki fuori Varsavia, scortata da un amico in auto, mentre un Senator giovine di belle speranze e pochi soldi lavorava 18 ore al giorno e dormiva in un monolocale cosi' semivuoto che quando tornai con beni ikea per un totale di 100 euro, di colpo sembro' una reggia: addirittura posate e bicchieri e piatti, fosse mai riuscito a cucinarsi qualcosa da mangiare, che a quei tempi viveva di caffe' e pizza. Poi fu l'Ikea di Bruxelles, dove andammo svariate volte per costruire il nostro primo appartamento insieme, e poi il secondo. Traslocati nel paesello francosvizzero, ci ritrovammo a frequentare l'Ikea di Aubonne e di Grenoble, per continuare a fornire il nostro regno: i primi mesi di matrimonio avevamo mobilio e cose sufficienti per animare un terzo della casa: guardavamo i film attraverso il portatile del lavoro collegato ad un vecchio monitor stile commodore 64 appoggiato su un piano di legno  appoggiato su due cavaletti, noi distesi su un materasso a terra, piccoli squatters in casa nostra. Cinque anni dopo ci sono voluti due camion per traslocare a Varsavia.
Tre anni fa di questi tempi andammo alla nuova Ikea di Ginevra a comprare il lettino e la malm per la Viatrix: da allora ci sono solo piu' passata per tovagliolini, portagiochi e calici da vino. Quando sono arrivata a Varsavia, il Senator mi aveva preceduto di qualche giorno percio' il giro Ikea di rinforzo l'aveva fatto lui.
E quindi con un po' di emozione che oggi mi sono sparata un'ora con tre cambi sull'autobus**, per andare all'Ikea di Targowek a comprare un po' di contenitori per sistemare i giochi delle bimbe e qualche altra cosetta.
Sull'autobus, intanto che mi ripetevo a mente la lista delle cose da prendere, sono tornate a galla fotografie mentali di me ancora non madre, in autobus e sul treno per andare all'Ikea di Aubonne mentre il Senator era chissadove, cosi' al ritorno avrebbe trovato a sorpresa gli armadi tutti sistemati a modino dentro.  Immagini di me ancora non moglie, in metro per andare all'Ikea di Anderlecht mentre il Senator era chissadove, cosi' al ritorno avrebbe trovato a sorpresa la cucinetta tutta sistemata.
Andare all'Ikea in autobus, treno o metro non ha niente di speciale.
Tornare dall'Ikea in autobus, treno o metro invece e' sempre speciale, perche' si fanno scoperte da Nobel per la fisica:  i tovagliolini possono pesare come piombo e le scatole di cartone possono pesare come legno.
La fatica fisica rende l'operazione eroica e quindi romantica a posteriori.
I miei grandi classici
Guarda Senator, sono tornata a casa con la maglia pezzata e la pelle delle spalle segnata dai manici, pero' domani avro' creato una cucina piu' bella, un armadio piu' organizzato, un luogo per giocare piu' comodo.
Ed e' successo in Belgio, in Francia, in Polonia, e sempre succedera', dovunque andremo a vivere, se ci saranno Ikee e mezzi pubblici.
*Il Torrente e' meglio
**questa volta le bimbe non hanno partecipato, le ho lasciate a casa con la babysitter chiamata apposta per l'ikeaoccasione

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