14 film. Peckinpah, Cronenberg, Camerini, Ben Wheatley, Im Sang-soo, Soderbergh. George Clooney, Clint Eastwood, Jeremy Irons, Ali MacGraw.
The American di Anton Corbijn, Rete 4, ore 21,15.
Convoy - Trincea d’asfalto di Sam Peckinpah, Rai Movie, ore 22,45.
Meraviglioso film anni Settanta. Intendo, con quel trucidume, quell’improntitudine, quel senso ribaldo del vivere avventurosamente e al limite estremo che era del cinema (e non solo) del tempo. Di un regista già carnale e pulsionale-istintuale di suo come Sam Peckinpah. Il quale importa, in questa scorribanda di camion e camionisti lunghe le strade più selvagge d’America, gli eccessi e il senso del barocco di cui aveva dato abbondante dimostrazione nei suoi grandi western. Un truck driver si mette contro uno sceriffo alquanto stronzo, e partirà contro di lui la caccia da parte degli uomini della legge. E dunque inseguimenti laggiù, tra le vedute desertiche del South West, in un classico western però su ruote e asfalto. I colleghi del truck driver si metteranno dalla sua parte formando un immenso convoglio protettivo el’America in tv comincerà a tifare per chi scappa (come in Sugarland Express di Spielberg, di cui qui c’è qualcosa). Main character che sembrava fatto apposta per Steve MacQueen, e che invece fu interpretato da Kris Kristofferson. Il suo antagonista sceriffo è Ernest Borgnine. La donna tra i camionisti è Ali MacGraw, nella vita compagna di MacQueen.
Tombstone di George Pan Cosmatos, Iris, ore 21,13.
L’eterna storia di Wyatt Earp, del suo amico Doc Holliday, dei loro rivali, del duello-ordalia all’Ok Corral, torna in questo film del 1993, l’ennesimo dedicato a questo archetipo western. Un film dalle molteplici vicissitudini produttive: Kevin Costner che si chiama fuori per girare sulla stessa storia Wyatt Earp con Lawrence Kasdan, lo sceneggiatore silurato per essersi opposto ai tagli richiesti dal produttore, la regia affidata abbastanza inopinatamente al George Pan Cosmatos di Cassandra Crossing. Il film comunque funziona, grazie anche ai due interpreti principali, Kurt Russell e Val Kilmer.
Gli uomini che mascalzoni di Mario Camerini, Rete Capri, ore 21,00.
Bruno (Vittorio De Sica) che insegue in bicicletta il tram su cui c’è l’amata Mariuccia è una delle scene seminali e insieme definitive del nostro cinema. Film di inarrivabile grazia ed eleganza di tocco, una commedia malinconica perfetta, come il cinema italiano dopo la guerra non riuscirà più a ripetere (qui siamo nel 1932). Un ragazzo di modeste condizioni di mestiere autista ama la figlia di un tassista, incontrata alla Fiera Campionaria. Seguiranno complicazioni, ma non troppe. Camerini decide di portare i suoi personaggi fuori dagli studi, di filmare nella città, per le strade e tra i palazzi di Milano, ed è qualcosa di rivoluzionario, anticipazione inconscia del neorealismo. E, ebbene sì, quel De Sica all’inseguimento del tram troverà la sua duplicazione, ma in versione tragica, nell’Anna Magnani di Roma città apertà che corre verso la camionetta. Gli strani intrecci, e i presagi, del cinema. Vittorio De Sica meraviglioso, in grado di eguagliare per leggerezza Cary Grant. Ancora oggi si resta stupefatti per come canta Parlami d’amore Mariù.
Le sorelle Materassi di Ferdinando Maria Poggioli, Tv 2000, ore 21,25.
Tratto in tempi di guerra (sarebbe uscito davvero solo nel 1945) da Ferdinando Maria Poggioli dal gran romanzo di Aldo Palazzeschi, arguta e perfidissima fiorentinata in cui, parlando di sorelle zitelle e nipoti scapestrati, in realtà si alludeva ad altro. Per esempio, a a certe pulsioni indesiderate e allora cancellate dalla scena e dal discorso pubblico come l’omosessualità. Perché, secondo alcuni, e l’interpretazione non è poi così forzata e peregrina, la storia delle due sorelle Materassi, provette ricamatrici che han messo da parte una picola fortuna, e del nipote che le porterà allegramente alla rovina, adombrerebbe quella di certi gay segreti ben conosciuti dal romanziere che tutto dilapidavano, compreso l’onore, per qualche marchettaro gaglioffo. Qualcuno ci ha però visto addirittura la metafora dell’Italia piccoloborghese del ventennio conquista e travolta dal macho Duce. Poggioli ne cava un film di squisitissima eleganza, tant’è che al suo riguardo (e riguardo ai film di Mario Soldati) si parlò di cinema calligrafico. Come se la bella forma forse un difetto. Invece Poggioli, nell’impeccabile confezione del suo Le sorelle Materassi, anticipa già Visconti e Bolognini e Zeffirelli e Patroni Griffi, l’illustre filone di alta eleganza del nostro cinema. Poi ci sono le sorelle Emma e Irma Gramatica quali protagoniste, e scusate se è poco. Massimo Serato è il nipote debosciato.
Inseparabili di David Cronenberg, Italia 7 Gold, ore 23,00.
Il miglior Cronenberg di sempre, correva l’anno 1988, il suo film assoluto e più, come dire, cronenberghiano, quello in cui le sue ossessioni sono rappresentate e cristallizzate allo stato puro. Due gemelli, naturalmente omozigoti (sennò come si potrebbe giocare sull tema del doppio?), crescono scambiandosi le parti e ingannando gli altri come in un eterno gioco infantile, e lo fanno anche nelle loto storie di sesso e amore con le donne. Finchè non entra in scena Claire (Geneviève Bujold). Allora la perfetta osmosi tra i due gemelli si incrina, comincia un percorso di follia che coinvolge prima l’uno poi, inevitabilmente, anche l’altro. Beverly, il lato più pazzo della coppia omozigote, è ossessionato dal corpo femminile, ne immagina le più spaventevoli mutazioni, per le quali inventa e realizza bizzarri e terrificanti strumenti ostetrici (difatti come il fratello è ginecologo). Ed è in queste scene che il talento disturbante, non privo di risvolti sordidi e laidi, di Cronenberg raggiunge vette ineguagliate. Jeremy Irons, in versione doppia, è ovviamente bravissimo. Citazioni: da Freaks di Browning (moltissimo) fino a Le due sorelle di Brian De Palma.
L’uomo che visse nel futuro di George Pal, Iris, ore 0,09.
Uno dei quei fantascientifici hollyuwoodiani tra Cinquanta e primi Sessanta che ancora oggi incantano per i loro effetti speciali primitivi, per quell’adorabile finzione fatta visibilmente di cartapesta. Sci-fi da baraccone, nel senso migliore di luogo delle meraviglie, in una sorta di citazione involontaria dei più scatenati filmini di Méliès. Questo L’uomo che visse nel futuro altro non è che la cineversione della Macchina del tempo di H.G.Wells, ove si immagina che uno scienziato britannico di fine Ottocento inventi un marchingegno che lo porta nel futuro, prima in un futuro vicino e poi sempre più lontano. Traspare un fiducia nella scienza e nella tecnica (anche nel film, non solo nel romanzo) da Ballo Excelsior, con un trionfo di meccanica un po’ steampunk. Con il roccioso Rod Taylor e una piccola diva di quegli anni, Yvette Mimieux. Regia di George Pal.
The Housemaid di Im Saong-soo, Rai Movie, ore 0,45.
Chissà perché questo scatenatissimo e torbidissimo melodramma del sudcoreano Im Sang-soo quando è arrivato a suo tempo in Italia è stato scambiato per un raffinato esemplare di cinema estremo-orientale. Come se bastasse la provenienza Far East a inserire un film dalle parti stilistiche (sublimi) di Ozu e Mizoguchi. Ma il cinema coreano, tra i più vitali e selvaggi del mondo, non è proprio roba di rarefazioni, passando perlopiù attraverso lo spettacolo del sangue, della violenza elevata a massacro, della barbarie trucida, dei corpi sfregiati. In questo film di Im Sang-Soo (che avrebbe poi presentato a Cannes 2012 un mio personale guilty pleasure, The Taste of Money) una domestica finisce a letto, come vuole ogni narrativa ancillare da tempo immemorabile, col padrone di casa sposato sposatissimo con figlio e altri due gemelli in arrivo dalla cara moglie. Solo che la ragazza resta pure lei incinta, e allora cominciano le grandi manovre delle donne di casa per far fuori il bastardo che potrebbe scompaginare, non sia mai, l’asse ereditario e gli equilibri familiari. Finirà cruentissimamente, in perfetto stile sudcoreano. Da vedere, però per favore non guardiamolo compunti come capolavoro di raffinatezze orientali.
Killer in viaggio di Ben Wheatley, Rai 4, ore 23,16.
Nel solco della black comedy britannica, la storia di un lui e una lei di rara laidezza che girano in caravan per le Midlands seminando cadaveri. Il movente? Non c’è. Due disgraziati prigionieri della loro stolidità, della loro opacità morale. Si ride, anche se c’è poco da ridere. Uno dei film più disturbanti degli ultimi anni. Il regista Ben Wheatley firma un’opera di rispetto, ma, spiacente, io questo Killer in viaggio – Sightseers non sono riuscito ad amarlo. (recensione completa)
Risorse umane di Laurent Cantet, Rai 5, ore 21,17.
Film del 1999 di Laurent Cantet, che di lì a qualche anno avrebbe vinto la Palma d’oro a Cannes con La classe. Film profetico, Risorse umane, che sceglie come teatro del suo dramma un’azienda, e in particolare quell’ufficio delle risorse umane addetto in tempi di crisi al taglio del personale. Scenario sociale che negli anni Duemila abbiamo visto e replicato ad abundantiam, e ancora si replica. Qui il conflitto intra-aziendale si sovrappone a quello familiare. Un ragazzo fresco di studi viene preso come stagista alla direzione risorse umane di una fabbrica in Normandia, la stessa in cui lavora come operaio il padre. Quando verrà deciso di ristrutturare, di scegliere chi licenziare, proprio il padre finirà tra i rami secchi, e il figlio dall’altra parte. Drammatizzazione, anche tragedizzazione di un ferita che ha inciso e inciderà milioni di famiglie dell’Occidente prostrato di questi anni. Attenzione, il protagonista Jalil Lespert è anche il regista del nuovissimo e di imminente uscita Yves Saint Laurent, il biopic ufficiale e autorizzato del outurier francese. Dai conflitti operai agli atelier haute couture e ai vizi borghesi, borghesissimi, il salto è grande.
Che – L’argentino di Steven Soderbergh, La Effe, ore 23,20.
Prima parte del fluviale biopic su Guevara girato da Steven Soderbergh. Operazione che non ha avuto però il successo sperato, nonostante l’accuratezza storica e filologica da parte del regista, e la passione e l’impegno profusi dal suo protagonista Benicio Del Toro. Soderbergh è rimasto indeciso tra l’agiografia, ormai però impraticabile di questi tempi, e la pesante rivisitazione, e magari revisione, del mito. Una non-scelta cerchiobottista che alla fine non ha pagato e che confina Che tra i tentativi interessanti, ma non riusciti. In questo episodio si parte dall’incontro nel 1952 in Messico tra Ernesto Guevara, studente di medicina ragentino, e Fidel Castro. Seguono poi lo sbarco sull’isola con lo yacht Granma, le prime battaglie. Un’alleanza, quella tra i due, che avrebbe fatto la storia, e non è un’esagerazione. Rodrigo Santoro è il futuro Lider Maximo.
Nel centro del mirino di Wolfgang Petersen, La7, ore 21,10.
Action con Clint Eastwood interprete, ma non regista. Che è invece il tedesco hollywoodianizzato Wolfgang Petersen. Un killer vuole uccidere il presidente degli Stati Uniti. Cercherà di fermarlo un vacchio agente dei servizi che giusto trent’anni prima si era visto uccidere sotto gli occhi l’allora presidente e adesso vuole riscattarsi da quel suo fallimento, e l’allusione a John Kennedy a Dallas e a quel che ci fu intorno è evidente. Il villain è il ghignante John Malkovich.
Scandalosa Gilda di Gabriele Lavia, Cielo, ore 23,10.
Scatenatissimo erotico con aspirazioni arty della coppia Gabriele Lavia-Monica Guerritore, un culto assoluto per i ragazzacci innamorati persi di quel cinema anni Ottanta sospeso tra il sublime e il trash, con pericolosissimi pencolamenti e sconfinamenti nel secondo. Si può ridere, sorridere, sogghignare nel vedere questo film, ma non si può non restare estasiati di fronte all’evidente sincerità di chi Scandalosa Gilda lo dirige e lo interpreta, e che affronta ogni rischio e si mette in gioco davvero. Siamo lontani dall’erotismo glamourizzato, patinato, anodino e inodore di oggi, qui davvero ci vien comunicato cosa sia lo sregolamento dei sensi. Una donna borghese delusa e in crisi – Guerritore, ovvio – scappa via da casa. Incontrerà in autogrill un fumettaro erotico che, mostrandole le sue tavole, la sedurrà, e sarà sesso selvaggio. Il nostro Nove settimane e mezzo, però meno cinico e perfino più consapevole, e vero. Con tutti gli eccessi e le accensioni del Lavia regista, uno che i mezzitoni e le mezze misure li ha sempre evitati. Prendere o lasciare. Lei somigliantissima alla Ingrid Bergman di Viaggio in Italia.
Mon bel amour di José Pinheiro, Cielo, ore 1,05.
Un mio personale cult. Grande erotico con idee e pretese dei tardi anni Ottanta, con scene assai hard e sesso esplicito e corpi per niente dissimulati che nella versioni italiana furono alquanto ridotti, per rispuntare poi trionfalmente in dvd. Cinema giocato sull’opposizione tra una lei borghese e un po’ spitinfia e un lui lumpenproletario, malavitoso, e muscolare macchina del sesso. Catherine è attrice di teatro, e per caso la sua strada incrocia quella del torvo Patrick. Il quale perde la testa per quel ninnolo di biscuit, per quella bellezza così sofisticata, e lei, be’, lei scopre a letto parecchie cose che non aveva mai provato con uomini della propria classe. Sarà tempesta passionale. Ma non potrà durare, le convenzioni sociali avranno la meglio, e sarà dramma. Regia di José Pinheiro. A rubare il film è Stéphane Ferrara, clamorosa presenza carnale quale Patrick. Che sarà poi anche in un film di Tinto Brass.