La Regina delle Fate più famosa di tutte è senza dubbio Titania di Sogno di una notte di mezza estate, firmato William Shakespeare.
L’orgogliosa Titania, come la definisce re Oberon, è una donna cocciuta e poco ragionevole, potente e minacciosa ma in realtà abbastanza innocua. Capricciosa, benevola con gli uomini con cui ha a che fare e, come Regina delle Fate, maestosamente bella – non a caso, sia a teatro che al cinema, è sempre stata impersonata da donne stupende:
Questa immagine di sfavillante bellezza contrasta un po’ con quanto racconta Thomas C. Croker ne La leggenda di Knocksheogowna o del vitello fatato (in Racconti di fate e tradizioni irlandesi):
«…esisteva vicino alla cima della collina un’ampia pastura dove un mandriano trascorreva le sue notti e i suoi giorni col suo bestiame. Questo luogo era stato un antico regno delle fate e il Buon Popolo era indignato dal fatto che la scena dei loro giochi scanzonati e briosi fosse stata invasa dal brutale scalpiccio di tori e vacche. I muggiti del bestiame offendevano le loro orecchie e la regina delle fate della collina decise di scacciare di persona i nuovi arrivati, e state a vedere come fece.
«Quando giunsero le notti del raccolto e la luna splendeva chiara e brillante sulla collina e le bestie se ne stavano quiete e silenziose a riposare e il pastore, avvolto nel suo mantello, se ne stava a fantasticare col cuore rallegrato dalla meravigliosa compagnia delle stelle, che splendevano sopra di lui, immerso nella luce che rischiarava tutto il cielo, ella venne a danzare innanzi a lui, ora con un aspetto ora con un altro, ma tutti egualmente ripugnanti e spaventosi. Una volta assunse l’aspetto di un grande cavallo, con ali di aquila e coda di drago, sibilando e sputando fuoco. Improvvisamente poi si trasformò in un omiciattolo zoppo di una gamba, dalla testa di toro e circondato da una fiamma che lo lambiva torno torno. Poi in una enorme scimmia dai piedi d’anitra e la coda di tacchino.
«Ma non mi basterebbe tutto il giorno se dovessi raccontarvi tutti gli aspetti che essa assunse. E poi ruggiva o nitriva o sibilava o muggiva o ululava o lanciava il grido della civetta come nessuno mai aveva udito ruggire, nitrire, sibilare, muggire o ululare a questo mondo. Il povero pastore si copriva il volto e si appellava a tutti i santi, ma a nulla servì. Con un soffio del suo alito ella faceva volar via il pesante mantello, per quanto forte quello cercasse di stringerlo e di coprirsene gli occhi, e non un santo del cielo gli prestava la minima attenzione. E quel che è peggio, non riusciva nemmeno a muoversi; no, nemmeno a chiudere gli occhi, era obbligato a rimanere lì, inchiodato da una forza sconosciuta, lo sguardo fisso a queste visioni tremende, finché i capelli gli si rizzarono sulla testa e i denti rischiarono di cadergli a forza di stridere. Il bestiame invece sembrava impazzito, come se fosse pizzicato dai tafani; e tutto questo ebbe termine solo al sorgere del sole».
Costretta a fronteggiare un certo Larry Hoolahan, personaggio un po’ più smaliziato e difficile da spaventare, la regina opterà per un strategia diversa, diciamo più… femminile (se siete curiosi di sapere come la storia va a finire, leggete qui). Resta il fatto che, in questo episodio, la Regina si impegna in prima persona per svolgere uno dei compiti impliciti nel suo ruolo di sovrana: proteggere il suo popolo in un momento di crisi. Com’è possibile che una cosa così naturale ci appaia straordinaria?
La Regina rappresenta la legge del regno fatato. Governare il Buon Popolo e gli Scontenti significa regolare i loro ritmi di lavoro, proteggerli dalle minacce esterne, garantire che in ogni periodo dell’anno ci siano le risorse per festeggiare quel che per loro è degno di essere festeggiato.
Chi regge la Collina non dimentica mai che che avere l’onore di governare un popolo non significa pensare di poterne disporre a piacimento.
Sulla Collina non esiste il boccone del re.
Sulla Collina nessuno è più uguale degli altri.
Un mondo migliore è possibile, eppure preferiamo pensare che sia un’insulsa fantasia.
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