Anche qui è Giappone (ma non sembra). Uno sperduto angolo di Okinawa, accanto a Taiwan
Ishigaki, da Google maps Sì il Giappone arriva fin qua
“Come siete finiti qua? E’ un’isola sperduta”. A Ishigaki questa domanda ritorna continuamente. Ma è proprio questo che ci ha portati fin qua, nell’arcipelago Yaeyama, a 200 chilometri da Taiwan, estremo lembo meridionale del Giappone. A guidarci è proprio la voglia di arrivare ai margini delle cartine, di smentire e completare i brevi paragrafi dedicati nelle guide ai posti fuori dalle strade più battute. “Okinawa non è Giappone” è l’altra frase che amici e conoscenti ci avevano ripetuto ed era proprio questo che mi affascinava, vedere un volto diverso del Paese. In effetti queste isole tropicali sono rimaste indipendenti per oltre 400 anni, fino alle soglie del 900 come regno di Ryukyu e la sua cultura – scrivono le guide – è profondamente influenzata dalla vicina Cina.
L’arrivo a Ishigaki
La ‘stamberga’, adorabile, ma con qualche problema di gestione
Siamo arrivati dall’aeroporto del Kansai su un volo della low cost Peach, appena 60 euro per il posto in economy più stretto in cui mi sia mai seduto (misure giapponesi?). E’ aprile, siamo in bassa stagione. E che non sia Giappone ce ne accorgiamo subito appena arrivati: finiamo in quella che dovrebbe essere la minshuku Rakutenya e che subito ribattezziamo ‘la stamberga’. E’ una deliziosa casetta in legno, scricchiolante e incasinata, gestita non dall’amorevole coppia descritta sulla Lonely planet (va bene, datata), ma da un capellone con una maglietta dei Nofx che mi ispira subito simpatia, ma che forse non ha visto la colonia di formiche sul tatami e si è anche dimenticato di abbassare i prezzi per il ‘nuovo corso’ della pensione. Decisamente non è il Giappone a cui siamo abituati. Questa è un’isola di surfer, hippie, marinai, famiglie in fuga dalla città e pensionati americani in cerca di un posto al sole. Gente che a Osaka e Tokyo si sente un pesce fuor d’acqua.
Però, nonostante una certo clima da frontiera, la prima impressione è deprimente: la città principale ci sembra brutta, raccolta attorno a un porto senza atmosfera. I bus su cui facevamo affidamento per girare l’isola – perché non ho fatto la patente internazionale – si rivelano rari e lenti, inutilizzabili. L’unica spiaggia vicina alla città ha un mare splendido, ma è sovrastata da un enorme, orribile albergo (l’Ana international resort) e osserviamo sconcertati i giovani del posto che fanno il bagno completamente vestiti. All’unico diving center in città, anche superando in parte le barriere linguistiche (e parlo giapponese), risulta impossibile organizzare un’escursione. E poi la sera, mentre sulla città si schiacciano pesanti nubi grigie, non c’è traccia di vita. Le pessime previsioni del tempo ci gettano nello sconforto e presi da un’intensa disperazione, nella notte cominciamo a guardare i voli per tornare a Osaka in anticipo.
Conosco questa malinconia. E’ solo la stanchezza del viaggiatore, che – unita a un po’ di sfortuna – alle volte porta a vedere tutto nero: non è la prima volta che mi succede, di sentire una tremenda sensazione di essere fuori posto, nel luogo sbagliato.
Per fortuna i voli costano troppo e siamo ‘costretti’ a restare. Perché questo gruppo di isole, con la sua natura, i suoi sapori, l’atmosfera e gli incontri sorprendenti ci avrebbe riservato alcuni dei momenti indimenticabili di questo viaggio.
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Alla scoperta di Ishigaki
Il menu di Paikaji
Come sempre non ci si deve fermare alle prime impressioni. Allontanandosi dal porto, verso nord, si scoprono case e giardini deliziosi, caffè accoglienti e splendidi (splendidi!) negozietti di artigianato locale: vetro, ceramiche, camicie, sapone che spuntano fra i soliti souvenir vacanzieri. Ed è esaltante tuffarsi nella cucina locale. Quando entriamo da Paikaji, affollata izakaya accanto al mercato coperto, ci chiedono subito se parliamo giapponese: non c’è menù in inglese.
Tofu fritto all’aglio… pessimo per la socialità ma buonissimo
Ma l’aiuto dei camerieri, le mie conoscenze e i piatti citati sulla guida, sono sufficienti per tuffarsi nei territori sconosciuti di una cena che diventa indimenticabile: ordiniamo un piattino dopo l’altro – in izakaya lo stile è un po’ quello delle tapas – e arrivano Riso fritto al nero di seppia (ikasumi chahan), goya champuru (tofu, uovo, carne di maiale e goya, sorta di cetriolo amaro tipico dell’isola, il tutto fritto in padella), buta no mimi (orecchie di maiale), rafute (grossi cubi di pancetta cotti in awamori, il sake locale, e zucchero) e tofu fritto all’aglio. Inaffiati di birra locale sono un incontro emozionante con la cucina delle isole Yaeyama.
A Kabira bay
Kabira (da Wikimedia commons)
Ma le vere sorprese l’isola le riserva più a nord, dove la natura diventa selvaggia. Prendiamo un taxi (circa 3.000 yen) per andare a Kabira, dove c’è la baia più bella dell’isola, paradiso delle immersioni subacquee. Il fondo è ricoperto di coralli e popolato da una spettacolare fauna marina. Ci si deve però dimenticare la vita da spiaggia: è vietato nuotare per le forti correnti e il continuo viavai di barche col fondo di vetro rende impossibile il relax. Per prendere il sole è molto meglio andare alla vicina Sukuji (due chilometri, si fa anche a piedi) o a Yonehara, qualche chilometro a est. Ma la mattina, perché ad aprile la marea nel pomeriggio scende drasticamente.
La camera si affaccia direttamente sulla baia
A Kabira, case sparse senza fascino e un paio di graziosi locali, alloggiamo nella Minshuku Maetakaya, una pensione gestita da una simpatica signora che cucina ottime cene. In minshuku – è un consiglio - bisogna sempre mangiare almeno una volta, sarà fra le cene più belle e divertenti del viaggio. Qui però c’è qualcosa di più. La nostra stanza in stile tradizionale ha una terrazza che si affaccia direttamente sull’acqua della baia: il panorama è interrotto solo da una palma che ondeggia al vento. Quando mi sveglio all’alba ci metto qualche minuto a rendermi conto che non è un sogno.
Sukuji, nel pomeriggio la marea scende e l’acqua si ritira (foto di Patrick Colgan, 2014)
Immersioni e snorkeling a Ishigaki
Il giorno dopo ci dedichiamo all’acqua. Io con un’immersione, Letizia con lo snorkeling. Il diving center locale Umicoza è organizzatissimo. Parlano inglese, hanno un sito pieno di informazioni (e anche alcuni interessanti pacchetti con alloggio) e dopo un fitto scambio di email ci passano a prendere direttamente alla pensione ma, scopriamo, vengono anche in aeroporto o in città. Dopo la vestizione e un briefing, si esce in barca tutti assieme per le due immersioni: c’è chi ha muta e bombole e chi solo lo snorkel. Siamo diretti verso Manta scramble, una ‘stazione di pulizia’, in cui le mante passano frequentemente per ripulirsi dai parassiti. Ma, come sempre, serve un po’ di fortuna.
Il mare di Ishigaki (nelle foto di Dan, un compagno di immersione)
Il mare di Ishigaki
Il vostro blogger
Snorkel stesi ad asciugare
No manta, please try again :)
Purtroppo le mante non si fanno vedere, ma il mare (piuttosto freddo in questa stagione) è pieno di vita, come sui migliori reef tropicali. Nel corso delle due immersioni incamero abbastanza meraviglie per restare col sorriso e una scodella di yaeyama soba assieme ai compagni di immersione alla fine della mattinata basterà per restare di buonumore per giorni. E dire che queste isole devono ancora svelarmi il loro gioiello più bello, la piccola isola di Taketomi.
La mattinata di immersioni finisce con una splendida scodella di Soba locale
Come arrivare, come partire, come muoversi
Aereo
Per Ishigaki i voli più conomici sono con la low cost Peach dall’aeroporto del Kansai (Osaka) mentre Ana vola anche da Tokyo Haneda e a prezzi un po’ più alti. I biglietti più economici di Peach (sui 6.000 yen) comprendono però solo il bagaglio a mano, per la stiva c’è un sovrapprezzo (ma di soli 1000 yen). Per Naha, nell’isola principale di Okinawa, bisogna prendere l’aereo (sempre Peach), il servizio di traghetto è infatti interrotto da anni.
Bus e auto
Dall’aeroporto di Ishigaki alla città ci sono bus frequenti e prenderli è inevitabile (550 yen), ma per girare l’isola è consigliatissima l’auto (solo con patente internazionale o traduzione come spiegato qui) che si può noleggiare in città, vicino all’autostazione. Gli autobus locali sono infatti poco frequenti e alcune linee non fanno avanti e indietro ma un percorso circolare. Questo vuol dire che su un percorso ad anello di due ore scendo dopo trenta minuti, per tornare devo poi fare un’ora e mezzo di viaggio girando tutta l’isola. Assurdo, no? Peccato perché i bus pass sono molto convenienti: 1.000 yen quello giornaliero, 2.000 quello di cinque giorni. Se vuoi farti un’idea, ecco gli orari della Kabira line, la più utilizzata.
Taxi
Il taxi riporta la guida smarrita, con tanto di gadget omaggio (solo in Giappone!)
Se non hai un’auto e i bus ti mandano fuori di testa, la soluzione sono i taxi, specie se sei in coppia o in gruppo. Da Ishigaki a Kabira (15 chilometri) sono circa 3.000 yen, mentre dalla città alla spiaggia dell’Ana international resort sono meno di 1.000 yen. I taxi sono molti quindi anche in zone un po’ fuori mano non è impossibile trovarne e fermarli per la strada, ma è forse più sicuro prenotarli prima.
E ti puoi fidare: la vecchia Lonely planet dimenticata in un taxi è stata riportata il giorno dopo al nostro albergo di Kabira bay con tanto di gadget omaggio. Cose che succedono solo qui, la conferma che, nonostante tutto, siamo in giappone.
Nave
Sono frequenti i servizi per le isole dell’arcipelago, mentre non c’è più il traghetto per Okinawa Honto. Le isole principali dell’arcipelago sono la grande e selvaggia Iriomote (1540 yen) e la piccola Taketomi (580 yen).
Link utili: Ishigaki travel guide (in inglese)