Sul finire degli anni ’80 la tedesca Noise Records, prima di diventare – non molto tempo dopo – etichetta portabandiera del revivalismo power di fine millennio, raccoglieva buona parte degli spiriti più creativi e inquieti della scena heavy metal dell’epoca, band che avevano estremizzato o contaminato l’allora dominante canone thrash spingendosi oltre i limiti del genere. Nel catalogo della label teutonica (defunta nel 2007 dopo la bancarotta della Sanctuary, che l’aveva incorporata) figuravano culti oggi consolidati – come Voivod, Coroner, Skyclad e Celtic Frost – e formazioni misconosciute ma originalissime come i Watchtower, gli oggi redivivi Mekong Delta e quelli che forse furono i più sfigati della covata: i californiani Mordred.
A fregarli fu il non essere riusciti a mettere su una formazione stabile nei primi anni di esistenza. Nati nel 1984, i Mordred pubblicarono l’esordio Fool’s Game solo nel 1989, quando l’idea di fondo – sposare il furore del thrash della loro Bay Area con i ritmi del funk e, più in generale, della musica nera – non era più freschissima. L’anno prima era arrivato nei negozi Vivid, debutto dei Living Colour (my favourite black metal band). E, proprio nel 1989, forti di un suono più mobile e accattivante e di un cantante carismatico come Mike Patton, i Faith No More avevano raggiunto la consacrazione con The Real Thing. Impossibile competere per un gruppo come i Mordred, ancora alla ricerca di una identità che, forse, non troverà mai davvero. Fool’s Game, in fondo poco più che un disco techno-thrash con qualche variazione sul tema, suscitò la curiosità della critica ma il pubblico affamato di crossover aveva, al momento, pane più succulento per i propri denti. Un anno dopo i Suicidal Tendencies recluteranno un certo Robert Trujillo. Da quel momento l’esempio di scuola della contaminazione tra funk e musica dura saranno le linee di basso nervose di Lights Camera Revolution.
A cavallo del nuovo decennio, ai Mordred restava solo una strada da percorrere per non rassegnarsi a un ruolo da comprimari. Esagerare. Alla chitarra torna Jim Sanguinetti, che aveva fatto parte del primo embrione della formazione, e sale a bordo, in qualità di sesto membro, l’afroamericano Aaron Vaughn, addetto a tastiere, campionamenti e scratching. Nel ’91 esce il folgorante In This Life, un capolavoro che la stessa band non riuscirà mai a replicare nel corso di una carriera breve e tormentata. Pezzi come The Strain e Window tracimano di idee e l’abilità dei Mordred nell’abbattere con strafottente coraggio le barriere tra generi rifugge ogni tentazione di pretenziosità e riesce a stupire anche oggi. Un anno dopo l’ep Vision, irrisolto e assai meno graffiante, farà emergere i primi segnali di una crisi che si consumerà poco dopo con l’abbandono del cantante Scott Holderby, dovuto a divergenze artistiche. Quando nel 1994 esce The Next Room, con il carneade Paul Kimball alla voce, il destino dei Mordred era ormai segnato.
Le prime voci di una reunion, con Holderby dietro il microfono, risalgono all’anno scorso. Io non ne ho saputo nulla fino al recentissimo annuncio di una raccolta fondi su Indiegogo per finanziare un tour estivo di dieci date in Gran Bretagna e l’incisione di un ep con nuovo materiale. Ahiloro, mentre mancano ancora 24 giorni alla conclusione della campagna, dei 15 mila dollari fissati come obiettivo della raccolta, ne sono arrivati solo 1.215.