Ogni anno vengono commemorati gli attentatori gappisti di via Rasella e i martiri delle Fosse Ardeatine, fra i quali Aldo Finzi, già sottosegretario agli interni del governo Mussolini e vice capo della Polizia e alcuni detenuti a Regina Coeli per reati comuni.
Tra le vittime della bomba, fatta esplodere il 23 marzo 1944 dai gappisti, non vi furono solo i 33 uomini del “Polizei-Regiment Bozen”, ma anche due civili italiani (e a voler esser pignoli anche parte dei militi del Bozen lo erano) la cui memoria è stata rimossa per non offuscare l’immagine degli eroici gappisti. I loro nomi sono Antonio Chiaretti e Piero Zuccheretti… “Chi erano costoro?” direbbe don Abbondio.
Chiaretti era un partigiano del variegato gruppo “Bandiera rossa” di cui facevano parte numerosi trotzkisti… che egli uomini dei GAP non vedevano di buon occhio. Ancor oggi ci si chiede se egli si sia trovato sul luogo dell’attentato per un caso singolare o se “qualcuno” l’abbia attirato colà con l’obliquo disegno di far ricadere sul suo gruppo la responsabilità dell’attentato. Quel che è certo è che poche settimane prima un foglio clandestino del PCI, che all’epoca era ligio alle direttive di Mosca, avvisava che se a Roma fosse accaduta qualcosa di grave: “Sappiamo di chi è la responsabilità” e che diversi membri di “Bandiera rossa” (casualmente come il Chiaretti?) morirono alle Ardeatine, suscitando il compianto degli eroici gappisti.
Piero Zuccheretti, invece, era un bambino di tredici anni e il suo corpo venne letteralmente dilaniato dall’esplosione, tanto che fu possibile recuperarne solo una parte. Circola una immagine fotografica, per lungo tempo ritenuta autentica, che ne ritrae i resti. Una recente sentenza ha stabilito, in base al contesto, che non sarebbe riconducibile all’aspetto di via Rasella ai tempi dell’azione degli eroici gappisti, che si tratta di un falso… ma controperizie dimostrerebbero il contrario.
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Zuccheretti.jpg
Ho voluto ricordarli, visto che quasi nessuno lo fa.
A proposito dell’attentato
I gappisti di via Rasella si resero protagonisti di un atto di guerra, in una delle forme proprie dei movimenti di liberazione: l’attentato, il sabotaggio, la guerriglia. Da un punto di vista militare, un’azione di nessun valore né tattico né strategico. Un semplice atto dimostrativo, simbolico, teso ad affermare una resistenza popolare a fianco degli eserciti alleati. Un atto che, come sapevano benissimo, avrebbe dato luogo a una reazione, per evitare la quale essi, in quanto combattenti e non martiri, non si consegnarono, pronti anzi a sfruttare, in funzione anti tedesca, l’indignazione popolare. Si assunsero, insomma, la responsabilità morale e politica di un gesto che essi consideravano un atto di guerra.
E all’atto di guerra i Tedeschi risposero con un atto di guerra, in una forma propria degli eserciti regolari, e cioè il “Diritto di rappresaglia”. Un diritto largamente esercitato, per altro, sia dalle stesse formazioni partigiane sia dagli eserciti alleati che, inoltre, si resero responsabili di veri e propri atti di terrorismo, come il bombardamento di Dresda.
La rappresaglia tedesca fu un banalissimo atto di guerra, ma la differenza sta nel fatto che i Tedeschi erano dalla parte del torto e gli altri dalla parte della ragione. Poi i vincitori venerano i loro eroi e i loro martiri e, a torto, danno ai vinti il nome di “Male Assoluto”, mentre il male assoluto è Satana.
Uno degli attentatori (medaglia d’argento al Valor Militare): il “compagno” Rosario Bentivegna, in una foto del 1941 che lo ritrae in sahariana nera e stivaloni… all’epoca, se il caso l’avesse voluto, sarebbe potuto diventare un martire fascista.
Federico Bernardini
Illustrazioni tratte da Google immagini