I “New Atheist”? Già vecchi, da archiviare. Dopo che il loro gran sacerdote, Richard Dawkins, ha ammesso pubblicamente andando in pensione di avere fallito nella sua battaglia per l’ateismo, arrivano dall’America a sostituirlo i “New new atheist” i quali si oppongono proprio ai vecchi e consumati Dawkins, Hitchens, Dennett e Sam Harris.
I leader di questo “nuovo secolarismo” sono autorevolissime voci intellettuali -”laiche”- i quali non credono più in istanze bellicose verso quanti credono, né sono pregiudizialmente chiusi rispetto a quanti possiedono un riferimento religioso. Ad accendere il dibattito in America, scrive Fazzini in un articolo ironico su “Avvenire”, è stata la pubblicazione di un libro a più mani, “The Joy of Secularism. 11 Essays for How We Live Now” (Princeton University Press, 2011). Il curatore, George Levine, Distinguished Scholar alla New York University, presenta così l’intento del suo lavoro, compartecipato da storici, filosofi, scienziati, scrittori: «Esplorare l’idea che il secolarismo è una condizione positiva, non negativa, non una negazione del mondo dello spirito o della religione, ma un’affermazione del mondo in cui noi viviamo adesso».
Come afferma il filosofo della religione, Charles Taylor, questi “atei moderati” riiniziano ad interrogarsi sul senso della vita. Anche i media, quegli stessi che hanno fatto per lungo tempo cassa di risonanza alla coppia Dawkins&Hitchens, notano un cambiamento positivo. Un esempio è il New Yorker, il quale ha certificato questa nuova prospettiva priva di sguardo religioso definendola «New Secularism»: «È un atteggiamento tollerante e anche interessato alla varietà delle pratiche religiose, e mantiene un tono di voce impegnato ed equo», come rilevato da James Wood in un lungo e recente articolo dedicato alla questione. Commentando un altro articolo su questi “New new atheist”, Wood spiega: «Questo ateismo è capace di dar credito al fatto che le religioni fanno del bene. In particolare, questa prospettiva constata quanto le religioni offrono in termini di comunità, compagnia e forza in epoche di bisogno, e come la religione ha frequentemente ispirato la gente normale a notevoli gesti di carità e altruismo», per poi evidenziare che i fautori del «New Secularism» «riconoscono che molti credenti di oggi non hanno niente a che spartire con quella religione letteralistica che gli atei militanti imputano ai credenti come una colpa».
Pure il New York Times, in un articolo recente, ha segnalato questo cambiamento di registro presentato dai «nuovi secolari». Gary Gutting vi ha dedicato un articolo, sotto il significativo titolo Beyond “New Atheism”, elogiando questo indirizzo di pensiero, il quale che va appunto «oltre» il «nuovo ateismo». Guitting analizza il pensiero di Philip Kitcher, filosofo della Columbia University, annotando che i nuovi secolari «prendono sul serio la domanda se l’ateismo possa rimpiazzare il senso che i credenti trovano nella religione. Kitcher concorda nel fatto che la sola liberazione dal teismo non è sufficiente. Gli atei devono andare verso il progetto positivo di mostrare come la loro visione del mondo può arrivare a quella che lui chiama “le funzioni etiche” del teismo. La posizione di Kitcher è aperta a serie obiezioni, ma possiede la statura concettuale e logica che manca nelle polemiche degli “atei scientifici”». Un vento interessante e innovativo dunque nella stantia e finora fallimentare, seppur così giovane, cultura laicista.