Magazine Economia
L'Italia sarà capace di restituire dinamiche sostenibili al proprio debito pubblico, e soprattutto, al costo del suo finanziamento?
Agli attuali tassi di interesse, a quanto ammontano gli avanzi di bilancio primario necessari a centrare l’obiettivo? Sono cifre realistiche, per gli anni a venire, che è davvero possibile raggiungere? Per rispondere a queste domande, ecco alcune simulazioni dell'evoluzione del rapporto tra debito e Pil. Che sotto l'ipotesi di un bilancio in pareggio dal 2014, può ritrovare equilibri virtuosi anche con il permanere di alti tassi di interesse. Mentre la crisi del debito sovrano continua a imperversare sull’Eurozona, timori e perplessità sul debito
pubblico italiano impegnano i protagonisti del dibattito economico e politico. Sulla possibile evoluzione del rapporto tra debito e Pil abbiamo elaborato alcune simulazioni, riferite a una pluralità di scenari sia per la crescita che per la curva dei tassi a termine. (1)
Secondo le nostre simulazioni, sotto l’ipotesi di bilancio in pareggio a partire dal 2014, il rapporto debito-Pil dell’Italia è sostenibile anche con alti tassi di interesse, e dunque, con un elevato costo di finanziamento. Tuttavia, i vari scenari indicano chiaramente che il raggiungimento di un simile obiettivo è legato a un tasso di crescita minimo, nei prossimi anni, per il Pil nominale.
DEBITO E IPOTESI DI BILANCIO
Utilizziamo dati sulle obbligazioni in circolazione in euro emesse dal governo italiano nel novembre 2011, per un valore nominale di 1,52 trilioni di euro, pari a circa il 95 per cento del Pil. (2) Non consideriamo, invece, prestiti e debiti delle amministrazioni pubbliche locali, in parte finanziati a tassi non di mercato. Il debito lordo complessivo, comunque, è circa 1,9 trilioni, intorno al 120 per cento del Pil.
Partiamo dall’ipotesi che l’Italia torni ad avere un bilancio in pareggio a partire dal 2014, e che quindi registri un deficit di bilancio solo per due anni, il 2012 e il 2013. Nelle stime del World Economic Outlook del Fondo monetario si tratterebbe di un deficit pari rispettivamente al 2,4 percento e 1,1 percento del Pil. (3) Nelle nostre simulazioni, quindi, dal 2014 il governo italiano ricorre a nuovo debito solo per rifinanziare debito in scadenza. Ipotizziamo che le nuove emissioni abbiano lo stesso valore nominale e la stessa scadenza non incidendo, quindi, sulla maturità del debito pubblico. (4)
L’EVOLUZIONE DEL COSTO DI FINANZIAMENTO DEL DEBITO
Sono possibili tre diversi scenari. Il tasso di interesse delle obbligazioni emesse dal governo italiano prima del novembre 2011, in tutti e tre i casi, è espresso dalla curva dei tassi a termine di aprile 2010. Abbiamo assunto, cioè, che l’intero debito emesso prima del novembre 2011 sia stato emesso ai tassi pre-crisi. Il debito emesso successivamente, invece, nello scenario medio ha tassi di interesse corrispondenti alla curva dei tassi a termine di aprile 2010 aumentata di 100 punti base. Negli altri due scenari, al contrario, uno favorevole e uno meno favorevole, l’intero debito emesso dopo il novembre 2011 viene finanziato rispettivamente ai tassi della curva di aprile 2010 o ai tassi più elevati corrispondenti alla curva dei tassi a termine di dicembre 2011. L’ipotesi su cui è costruito lo scenario meno favorevole non è molto probabile: implica che il governo italiano pagherà gli attuali onerosi tassi di interesse anche tra molti anni, quando il rapporto debito-Pil sarà minore per effetto del raggiunto pareggio di bilancio.
Per effettuare un’analisi di sensitività, consideriamo tre diversi tassi di crescita del Pil per lo scenario meno favorevole. Per la crescita del Pil nominale fino al 2016 utilizziamo le stime del Weo 2011 del Fondo monetario, mentre per il periodo 2016-2045 ipotizziamo che il tasso di crescita del Pil nominale rimanga costante. Nella prima simulazione, il tasso di crescita del Pil nominale è del 3,5 per cento, ovvero il tasso di crescita medio del Pil nominale dell’Italia registrato dall’introduzione della moneta unica fino all’inizio della crisi finanziaria nel 2007. È compatibile con un tasso reale dell'1,5 per cento e un tasso di inflazione del 2 per cento. Nella seconda e terza simulazione, il tasso di crescita del Pil nominale è pari rispettivamente al 2,4 per cento (simile al tasso di crescita medio del Pil nominale della Germania nel periodo 2001-2007) e al 5,2 per cento (simile al tasso di crescita medio del Pil nominale degli Stati Uniti nel periodo 2001-2007).
RISULTATI DELLE SIMULAZIONI
La figura 1 si riferisce allo scenario meno favorevole e indica la spesa per interessi sul debito e il debito in circolazione in termini di percentuale del Pil nominale per il periodo 2012-2045. Il tasso di crescita del Pil nominale per gli anni successivi al 2016 è ipotizzato pari al 3,5 per cento. La spesa per interessi aumenta rapidamente all’inizio del periodo considerato, fino a raggiungere circa il 4,5 per cento del Pil, per poi diminuire progressivamente, e attestarsi intorno al 2 per cento nel 2045. Dopo il 2014, anno del pareggio di bilancio, la spesa per interessi corrisponde agli avanzi di bilancio. Il rapporto debito-Pil, nell’arco di tempo esaminato, si riduce quindi dal 95 per cento al 60 per cento. La figura 1 distingue, in materia di spesa per interessi, tra debito emesso prima del novembre 2011, in blu, e debito emesso dopo questa data, in rosso. Alla scadenza del debito emesso anteriormente alla crisi, il nuovo debito viene finanziato a tassi più elevati. Futuri cambiamenti della curva dei tassi a termine, dunque, influenzeranno esclusivamente la spesa per interessi relativa a quest’ultimo, espressa dalle barre rosse. Figura 1. Spesa per interessi sul debito e debito pubblico come percentuale del Pil nominale per il periodo 2012-2045 nello scenario meno favorevole (i.e., curva dei tassi a termine di dicembre 2011). La spesa per interessi su debito emesso prima di novembre 2011 è rappresentata dalle barre blu. Le barre rosse rappresentano la spesa per interessi sul debito emesso dopo il novembre 2011. Il valore totale del debito pubblico corrisponde al valore nominale delle obbligazioni in circolazione in euro e non include debiti e prestiti delle amministrazioni pubbliche locali. I dati provengono dal ministero dell’Economia e delle Finanze, dal World Economic Outlook 2011 e da simulazioni degli autori per obbligazioni emesse a partire dal novembre 2011.
Le figure 2 e 3 indicano la spesa per interessi, in termini di percentuale del Pil, per diversi valori del tasso di crescita del Pil e per diversi livelli della curva dei tassi a termine. In base alla figura 2, appare evidente che se la curva dei tassi a termine tornasse ai livelli del 2010 (YTM 2010: lo scenario più favorevole), la spesa per interessi sarebbe inferiore di circa l’1 per cento del Pil rispetto al caso dei livelli del 2011 (YTM 2011: lo scenario meno favorevole). La minore spesa per interessi sarebbe comunque impegnativa anche se la curva dei tassi a termine tornasse ai livelli 2010 maggiorati di 100 punti base (YTM 2010 + 100bp: quello che abbiamo definito scenario medio). Figura 2. Spesa per interessi come percentuale del Pil per diversi livelli della curva dei tassi a termine (YTM) utilizzata per ricavare il tasso di interesse a diverse scadenze per le obbligazioni emesse dopo il novembre 2011. La linea verde utilizza la curva a termine, antecedente la crisi, di aprile 2010 (scenario più favorevole). La linea blu usa la curva a termine di aprile 2010 aumentata in maniera uniforme di 100 punti base (scenario medio). La linea rossa utilizza la curva a termine di dicembre 2011 (scenario meno favorevole). I tassi di crescita del Pil nominale derivano da stime del Fmi fino al 2016 e sono poi costanti e pari al 3,5 per cento per anno dopo questa data. I dati provengono dal ministero della Economia e delle Finanze, dal World Economic Outlook 2011, Bloomberg e simulazioni degli autori per obbligazioni emesse dopo novembre 2011.
La figura 3 evidenzia l’effetto del tasso di crescita sulla dinamica del debito nello scenario meno favorevole, ovvero, una curva dei tassi a termine ferma ai livelli del dicembre 2011, particolarmente elevati. Se fissassimo il tasso di crescita nominale post-2016 al 3,5 per cento, la spesa per interessi come frazione del Pil sarebbe circa 4,5 per cento nel 2016 e circa 2 per cento nel 2045. Lo scenario in cui il tasso di crescita è pari al 2,4 per cento, mostra l’effetto di una bassa crescita. In questo caso, a partire dal 2045 la spesa per interessi sarebbe pari al suo valore di lungo periodo del 2,.9 per cento. Il terzo scenario, infine, considera un tasso di crescita annuale più elevato, pari al 5,4 per cento. La spesa per interessi sarebbe qui pari a circa il 3 per cento poco prima del 2030, per poi ridursi fino all’1 per cento nel 2045. Figura 3. Spesa per interessi come percentuale del Pil nello scenario meno favorevole (i.e., curva dei tassi a termine di dicembre 2011) per diverse ipotesi sul tasso di crescita del Pil nominale dopo il 2016. I tassi di crescita fino al 2016 provengono da stime del Fmi. La linea rossa descrive il caso in cui il tasso di crescita del Pil è pari a 2,4 per cento per anno; la linea verde il caso in cui il tasso di crescita è apri al 3,5 per cento per anno; la linea blu il caso in cui la crescita del Pil è pari al 5,2 per cento per anno. I dati provengono dal ministero dell’Economia e delle Finanze, dal World Economic Outlook 2011, Bloomberg, e simulazioni degli autori per obbligazioni emesse dopo novembre 2011.
AVANZI PRIMARI POSSIBILI
L’interpretazione di queste simulazioni, naturalmente, richiede estrema cautela. Gli esiti, infatti, non possono che essere sensibili alla ipotesi su cui sono costruite: una condizione di pareggio di bilancio a partire dal 2014, tasso di crescita del Pil costante dopo il 2016 e un’identica curva per i tassi a termine per le obbligazioni emesse successivamente al novembre 2011 e struttura di scadenza del debito. Queste ipotesi, inoltre, escludono effetti sulla crescita delle misure di rigore finanziario necessarie al pareggio di bilancio. Le nostre simulazioni, cioè, non esaminano l’eventualità in cui le misure di austerità generino una sorta di avvitamento negativo, con ulteriori strette fiscali chiamate a compensare le minori entrate causate dalla minore crescita. Una analisi che ponderi anche questi effetti presenta complessità eccessive per l’obiettivo di questo studio.
Un’ipotesi cruciale alla base dei risultati è che l’Italia sia in grado di mantenere per molti anni notevoli avanzi primari: nello scenario meno favorevole, quello caratterizzato da alti tassi di interesse, stabilizzare la dinamica di lungo periodo del debito richiederebbe avanzi primari pari approssimativamente al 4,6 per cento del Pil nel 2016 e al 2,2 per cento nel 2045. Se tale obiettivo sia politicamente realistico, è questione aperta: tuttavia, avanzi primari di tali dimensioni non sono fenomeno inedito, nella storia del nostro paese. Come mostra la figura 4, tra il Trattato di Maastricht, siglato nel 1992, e la crisi finanziaria del 2007, l’Italia ha registrato un avanzo di bilancio primario medio pari a circa il 2,8 per cento del Pil. E non è stato un esempio isolato. Nello stesso periodo il Belgio, altro paese europeo tradizionalmente caratterizzato da un elevato rapporto debito-Pil, ha registrato un avanzo primario annuale pari a circa il 4,8 per cento del Pil. Uno sforzo fiscale che ha consentito a entrambi i paesi di ridurre il loro rapporto debito-Pil: dal 130 per cento all’84 per cento del Pil il Belgio, da un picco del 122 per cento al 104 per cento l’Italia. Figura 4. Bilancio fiscale, avanzo primario e debito lordo (come percentuale del Pil) per l’Italia (pannello di sinistra) e Belgio (pannello di destra). I valori del bilancio fiscale e dell’avanzo primario sono riportati sull’asse di sinistra. I valori per il debito lordo sono riportati sull’asse di destra. Per l’Italia il campione è 1988-2010. Per il Belgio il campione è 1980-2010. Per il Belgio, i dati sull’avanzo primario non sono disponibili prima del 1995. I dati provengono dal World Economic Outlook 2011.
L’evoluzione del rapporto debito-PIL, in Italia, appare sostenibile anche agli attuali elevati tassi di interesse. Il riordino dei conti dello Stato è più che possibile, anche se richiede sacrifici impegnativi, nei prossimi anni, in termine di avanzi primari. Gli alti costi di finanziamento del debito oggi affrontati dal nostro paese riflettono l’incertezza riguardo ai suoi futuri tassi di crescita e ai potenziali effetti negativi sulla crescita di quelle misure di rigore e austerità necessarie a rilanciarla. fonte
-di Nicola Borri...laureato alla Bocconi, ha conseguito il PhD in Economia alla Boston University. Dal 2009 insegna alla LUISS Guido Carli di Roma.
-di Gianfranco Di Vaio...Senior Economist in the Research presso la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. e Adjunct Professor di Economia presso la LUISS Guido Carli.
-di Giuseppe Ragusa....assistant professor nel Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali presso la LUISS Guido Carli di Roma.
(1) Si tratta di simulazioni più estese rispetto a quelle presentate in BIS Quarterly Review, dicembre 2011.
(2) Vedi Outstanding of public securities: breakdown by maturity, ministero dell’Economia e delle Finanze (novembre 2011).
(3) World Economic Outlook, International Monetary Fund, Settembre 2011.
(4) Per quanto concerne il 2012 e il 2013, ipotizziamo che il governo italiano emetta nuove obbligazioni per finanziare i deficit di bilancio in modo da mantenere la scadenza ponderata del debito invariata.
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