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I numeri e le illusioni

Creato il 08 luglio 2013 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

La battaglia economico politica nel nostro povero Paese vede contrapposti non esponenti dell’interventismo economico opposti ai liberisti: ma  tra sostenitori dell’Imu e contrari all’aumenti dell’IVA ad i soliti granitici  tutori della spesa pubblica specie quella improduttiva.

Sembra impossibile constatare amaramente come gli economisti che vanno per la maggiore sia sotto il profilo politico che mediatico pongano le proprie tesi su analisi valide fino alla fine degli anni ’80.

Tutte le analisi considerano la massa monetaria i dati dell’occupazione e del Pil senza tenere inserire le ultime due componenti che stanno determinando non la crisi ma la sua lenta evoluzione: IL SENTIMENT, del quale parleremo subito e la distribuzione che merita una trattazione approfondita in un’altra relazione per la sua complessità.

La battaglia sull’Imu, una della tasse più odiose, rappresenta la miopia di questa classe di economisti sia di destra che di sinistra.

Infatti, al crollo dei consumi che continua da anni e che ha visto nel 2012 un -2,8 % portando i livelli dei consumi a quelli del 1997 si spera di ovviare lasciando per altro temporaneamente le risorse destinate all’Imu e attraverso queste di fornire un nuovo impulso ai consumi nel breve termine di questa stagione.

Addirittura in qualche quotidiano nazionale economisti parlano della importanza dei dati che emergeranno dei primi saldi di stagione per confermare o meno la correttezza della tesi che sottendono a tali scelte.

Fiducia dei consumatori e vendite al dettaglio

Fonte: Reuters

Nel mese di aprile 2013 alla crescente e continua discesa dei consumi , in linea con quanto emerso per il 2012, i depositi di privati sono cresciuti del 7.1 %: al di là del valore dei depositi stessi, questa scelta di togliere dal circuito del consumo per favorire il deposito, anche a basso rendimento, dovrebbe far emergere l’aspetto che considero più importante nella valutazione della crisi e nella strategia per uscirne.

Ed arriviamo al primo fattore che si dovrebbe inserire stabilmente nella analisi economiche.

Se un consumatore decide di NON acquistare un bene sia esso di basso valore con il proprio reddito disponibile o di un altro di alto valore al quale potrebbe tranquillamente accedere attraverso il finanziamento al consumo significa che il sentiment è fortemente negativo , che per intenderci sono le aspettative per il futuro sia prossimo che  a medio termine della situazione economica personale e nazionale .

Allora anche se si trovassero le risorse per cancellare l’Imu questa si trasformerebbe in un ulteriore massa monetaria che andrebbe in deposito e della quale il circuito economico non trarrebbe alcun giovamento in quanto le banche, ormai da anni e con la complicità della politica come della fondazioni, disattendono il loro compito fondamentale che è quello di fornire mezzi finanziari alla crescita economica.

Questa miopia nella analisi economica parte dal considerare ancora la società espressione di masse informi di consumatori ai quali la pubblicità indica cosa acquistare e quando esattamente come se fossimo rimasti negli anni ’70 ’80 nei quali i consumi partivano da una domanda ancora inevasa nelle sue articolazioni.

Ormai, anche se esistono ancora della sacche di scarso acculturamento sulle quali le vecchie politiche di comunicazione riescono ad ottenere un certo successo, il consumatore medio vive in un sistema globale di informazioni che lo rendo esposto ad ogni sollecitazione specie se negativa.

Come si possa pensare che questo villaggio globale non influenzi i consumi come il sentiment per me rimane un mistero.

O forse non si vuole iniziare ad analizzare le vere cause che spingono alla decrescita continua dei consumi, del calo delle nascite, al desiderio di espatriare: altro non sono che espressioni della medesima mancanza di prospettive economiche di un paese che da quarant’anni crea debito per pagare stipendio e pensioni ed ha una spesa in conto capitale dell’ 1%.

Tutto questo è la manifestazione della medesima mancanza di fiducia verso un ceto che si definisce “dirigente“ ma che non ha strumenti culturali per comprendere un sistema economico in continua evoluzione che tende ad un equilibrio ma che proprio per la sua complessità, espressione della globalizzazione, non troverà che per pochi e brevi periodi.

I numeri, tornando all’Italia, indicano una sofferenza che non viene percepita nella sua gravità perché non esistono i mezzi culturali e soprattutto la onestà intellettuale per comprendere che  tale sofferenza rappresenta la perdita di prospettive e di  ottimismo e di fiducia nella classe dirigente attuale.


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