Quell’anno decisi di ritornare in Sicilia per le feste di Natale e…non da sola.
Il 23 dicembre mattina prendemmo il direttissimo Roma-Siracusa che, arrivato nelle campagne di Battipaglia, si fermò per quattro ore a causa di uno di quegli scioperi “a singhiozzo” tanto frequenti in quegli anni di piombo.Tirai fuori un mazzo di carte e cominciammo una partita a scopa .
A Lamezia Terme, il treno si fermò per altre due ore. Dalla scopa eravamo passati alla briscola e il gioco si era esteso a tutto lo scompartimento.
A Villa San Giovanni arrivammo che si era fatto già buio e lì restammo per un tempo indefinito, rassegnati a passare la vigilia di Natale in qualche stazione.
A Noto, intanto, fervevano i preparativi.
Mia madre stava preparando le “scacce” e aveva bollito al punto giusto i broccoli per le “pastette” della vigilia.
“I cos’arùci” (facciùna, mustazzòla, i pasti i miènnula e i cosi i meli) li aveva preparati già dalla settimana precedente perchè “avièunu a rritunnàri ”, secondo il suo gergo, avere cioè il tempo di ammorbidirsi, cosa particolarmente raccomandata per i biscotti al miele che, senza tale “ritorno”, potevano essere considerati veri e propri “cuticciùna”.
I miei genitori non sapevano esattamente a che ora saremmo arrivati a casa.
In tempi così “fluttuanti” ritenemmo più opportuno lasciarli in attesa della sorpresa.
Riuscimmo a traghettare verso le 10 del giorno dopo e, giunti finalmente sulla costa ionica, ad ogni stazione e stazioncina, senza scampo, il treno sostava per almeno un’ora.
Quando mia madre, alle 6 del pomeriggio del 24 dicembre, mise farina, lievito e acqua nel “lèmmu” per preparare la pasta delle “pastette”, noi eravamo riusciti ad arrivare a Catania. Nello scompartimento non si giocava più e, da almeno 100 km, ridevamo ormai senza ritegno e senza motivo, dividendo in spirito di fratellanza le ultime vettovaglie.
Alle 7 di sera scendevamo barcollanti alla stazione di Siracusa. Ci toccava ancora prendere la “littorina” per Vittoria e scendere a Noto, essere a casa.
Casa? Una casa in affitto vecchia e malandata dove una lampadina di 60 watt (e forse anche meno) illuminava scarsamente la nostra sala da pranzo. Nessuno mai si era curato di risolvere il problema e mia madre per anni aveva invano preteso di infilare “a ugghia” in quella semioscurità.
Alle 8 di sera, mia madre cominciò ad avere delle piccole vertigini al pensiero che la pasta, già abbondantemente lievitata, potesse inacidirsi e compromettere il risultato delle sue fragranti e saporite “pastette”, senza le quali non ci poteva essere vigilia di Natale.
La sua ansia lievitava come la pasta e, quasi sull’orlo delle lacrime, chiese a mio padre che ne fosse stato di noi, allorché bussammo alla porta.
Stravolti dalla stanchezza, avevamo ormai un aspetto più da profughi che da “crisstiani”.
Mia madre ci salutò in fretta e con un lampo di gioia scappò in cucina, lasciando mio padre ad ascoltare il racconto di quel nostro faticoso viaggio.
Intanto la sentivamo che sbatteva la pasta, la picchiava perchè si sgonfiasse, la puniva per aver lievitato al limite dell’acidità.
Ora sì che era Natale! -“I pastetti si puònu friiri !!! ”- ci annunciò con la sua voce da soprano.
Loro due già vecchi e noi due, giovani e innamorati, seduti al tavolo della vigilia. Era la prima volta che Apostolos veniva in Sicilia e a casa mia.
Fu un trionfo di “scacci”, di “sfinciùna”, di piatti della tradizione.... ma quelle pastette lievitate nella nostra attesa, avevano il sapore dell’amore di mia madre che mai riusciva ad esprimere a parole.
Il suo amore per noi era sparso a piene mani in quei suoi magnifici dolci, nel colore dorato delle focacce, nella cronometrica perfezione della cottura, nell’arte del “rièficu”.
Mio padre con i suoi begli occhi pieni di guizzi, per tutta la serata continuò a ripeterle: “Ma’n to ricìa ju, ca vinièunu?”
Per i non siciliani ecco la traduzione di alcuni termini
*A scàccia = focaccia ripiena (di verdure, di carne o pesce o altro)
*I cosi arùci = lett. Le cose dolci = I dolci
*I cuticciuna= grossi sassi
*U lèmmu= vaschetta di terracotta a forma a tronco di cono, smaltata in modo tipico con onde di bianco e verde che si mischiano tra di loro
* La littorìna= treno locale di solito composto da pochissimi vagoni
*A ùgghia = l’ago
*I crisstiàni (da pronunciare con la ‘’ sst ‘’ calcata , forte, alla siciliana) = le persone
*I pastetti si puonu frìiri =Le crespelle si possono friggere .
*U sfinciùni = pasta lievita molto morbida, lavorata a lungo, condita con aglio, prezzemolo, pezzetti di pomodori, acciuga e con molto olio, posta in teglie abbastanza alte e messa in forno dove si gonfia restando molto morbida al morso
*U rièficu = sigillatura e rifinitura dei due lembi della pasta delle focacce. Si ottiene con un movimento ad onda di pollice indice e medio. Si usa dire di donna sveglia e completa che sia ‘’na fimmina co rièficu’ , cioè donna a cui non manca nulla
*Ma’n to ricìa ju, ca vinièunu?” = Ma non te lo dicevo io che sarebbero arrivati?