Antonio Porta, 1978, a Como (fotografo sconosciuto, per gentile concessione di R.A. Liedl)
Di ANTONIO PORTA *
Sanno tutti che il termine «avanguardia» riferito alla letteratura si è caricato di significati negativi e raramente positivi.
Se si pone uno scrittore o poeta o altro, nella condizione di operare oggi in Italia e dunque in Europa e nel mondo semplicemente, si cerca di capire quanto gli possa essere utile o nocivo lo schierarsi all’avanguardia.
Intanto gli si presenterà un problema di identificazione: qual è l’avanguardia cui accodarsi? In un clima rovente di accuse le avanguardie vengono spesso definite retroguardie con un rovesciamento acrobatico e velenoso. Rovesciamento azzeccato, d’altra parte, per tutti coloro che veramente si accodino. Poi si domanderà: esistono una o più avanguardie? Ecco, si comincia ad avvicinarsi al problema: chi abbia la sensibilità richiesta per operare (e che non se la finga disperatamente) ha già capito che ne possono coesistere diverse, ma con una carica comune, legami tenaci, sotterranei o meno.
Il salto positivo è presto fatto. Chiunque deve sapere che la sua posizione è automaticamente d’avanguardia una volta che si sia posto in condizione di operare in ricerche al di là del noto. Ed è a questo punto che le definizioni o individuazioni di ricerca avanzata e di ignoto potrebbero complicare notevolmente le cose e, invece, sostanzialmente le semplificano provocando subito una selezione tra scrittori utili e inutili, morti e vivi, selezione solo apparentemente personalissima e in realtà oggettiva e storica. Proprio perchè questa selezione, accettata solo da coloro che sopravvivono, avviene in una zona puramente intuitiva, coloro che sono morti la negano, con apparenze razionali, sostenendo poetiche e scritture che si richiamano inevitabilmente a quelle eredità del passato che sono meno attuali.
Fino a qui l’avanguardia sembra assumere significati positivi, ma coloro che sono arrivati a questo punto sanno o devono sapere che cominciano ad affrontare pericoli estremi.
È facile, prima di tutto, confondere una posizione di ricerca avanzata e approfondita con questa o quella corrente o etichetta letteraria per escluderne altre, nel mondo, pure in posizione di avanguardia ma con orientamenti diversi.
Qui sta il veleno. Scrittori non privi di talento (in caso contrario non sarebbero nemmeno a un tal punto) sprecano energie, tutte o in parte, esaltando i meccanismi che sorreggono le ricerche, i quali finiscono con l’assumere una prevalenza letale. Sembra perdano la nozione di ricerca in senso approfondito e non riescano più a valicare i limiti della forma da cui erano, magari felicemente, partiti. Improvvisamente alle opere di tali scrittori viene a mancare il sostegno della pazienza e della fiducia nella condizione in cui si erano posti, e i mezzi prevalgono sul fine. Ma guai al cielo se, giunti a questa crisi, qualcuno osasse ripetere il ritornello dell’impotenza: quello della saggezza «italiana» che ha contemperato e contempera le tendenze e le ricerche più estreme con la classicità di un’alta tradizione!
Meglio dunque perire di avanguardia. Ed è contro l’avanguardia che deve armarsi chi ha scelto, bene, una posizione di mobilità avanzata. Sembra paradossale ma è indispensabile che i momenti di proiezione trovino la loro ragione profonda nei momenti di ripiegamento. L’avanguardia deve perdere ogni altro significato che non sia quello di stimolo: l’artista si trova a disposizione i mezzi desiderati per un impiego proficuo e deve evitare di far girare catastroficamente a vuoto i meccanismi preziosi. L’artista, solo contro l’ignoto, dovrà lottare abilmente e ferocemente, per essere, finalmente, vero o falso.
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* Pubblicato dapprima in Il Verri, Rivista di letteratura, n. 10, Anno VIII, Milano, ottobre 1963, pgg. 74-75. Su Critica Impura per gentile concessione di Rosemary Ann Liedl.