D’estate adoro affacciarmi ai piccoli piaceri quotidiani: sgattaiolare lentamente dal letto quando ancora l’officina sotto casa non ha iniziato a martellare e trapanare l’ennesimo rottame; camminare scalza fino al bagno; sciacquarmi il viso con la finestra spalancata che lascia entrare la luce del sole, riflessa allo specchio su cui la mia faccia appare fresca e rilassata; vestirmi con le prime cose che capitano, e d’estate – quasi sempre – capitano short e t-shirt extra large (se non è large e canottiera); passare davanti al computer senza accenderlo perché il net-world non ha ancora niente da raccontare mentre io si, al mattino, adoro raccontarmi scrutandone i dettagli, come le mie pupille rigonfiate contornate da un castano color castagna che non oltrepassa la bordatura più scura neanche di un millimetro, non supera mai il limite che conduce alla zona inespressa dell’occhio – come l’albume dell’uovo – la sclera.
Quando poi, riparte il giorno, e la cassetta degli attrezzi dell’officina è spalancata, il motore delle macchine si moltiplica, il cinguettio degli uccelli è multiforme e il sole trasversale nel cielo, riprendo la corsa anch’io, conto il tempo un’altra volta: studiare, scrivere, inventare, guardare, sperimentare, sono tutte azioni che hanno un loro tempo, anche fuori da giornate come questa.