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I Ponti della Delizia: la Speranza dopo la Tempesta

Creato il 25 maggio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il maggio 25, 2012 | LETTERATURA | Autore: Giuseppe Floriano Bonanno

I Ponti della Delizia: la Speranza dopo la TempestaDa grande appassionato di storia e di antichità, da tempo, ho eletto Guido Cervo uno dei miei autori preferiti, capace com’è di ricreare un passato, che alberga ormai solo sulle pagine dei libri, dandogli vita e credibilità grazie alle minuziose e documentate ricostruzioni d’ambiente, e, soprattutto, a personaggi forti, vivi e credibili. Dopo le avventure che ci hanno riportato, prima nell’impero romano, e poi nel medioevo, questa volta Cervo si inoltra in un terreno ed un‘epoca assai più controversa e vicina a noi, il periodo della Prima Guerra Mondiale, regalandoci un romanzo destinato a rimanere memorabile: “I ponti della Delizia”. La guerra sul fronte dell’Isonzo si trascina stancamente da due lunghi anni, nei quali le truppe italiane sono state fiaccate nel morale e nelle energie, e trasformate, da generali lontani dal fronte ed ottusi, in carne da macello, gettate, come sono, allo sbaraglio e verso la morte in stucchevoli e sanguinosi, ma quasi sempre inutili, offensive contro le posizioni strategiche degli austriaci. Con l’arrivo delle forze tedesche, liberatesi dal fronte russo dopo la resa dello Zar, nel cuore della notte tra il 23 e il 24 ottobre, sul fronte di Caporetto si abbatte un inferno di fuoco, antipasto di una terribile offensiva degli imperiali. È il caos, la disfatta! L’esercito italiano sfiancato, infreddolito, e demotivato, senza la copertura dell’artiglieria di Cadorna, si scioglie come neve al sole ed inizia una vera corsa per la salvezza con obiettivo finale i ponti della Delizia che attraversano il Tagliamento. In questo contesto disastroso si innestano le storie incrociate dei due protagonisti: Tarcisio, giovane sergente, che del contadino bergamasco dell’epoca incarna tutte le virtù e difetti, che con il suo gruppo di commilitoni cerca di evitare la cattura e di salvare la pelle, ed Ersilia, giovane maestrina, vedova di guerra, che lascia Udine per sfuggire agli imperiali e, insieme ad Anita, una bimba difficile di un brefotrofio della città friulana, si trova coinvolta in una fuga disperata nel mare di profughi che ha abbandonato case e cose per sfuggire ai nemici.

I Ponti della Delizia: la Speranza dopo la Tempesta

Siamo di fronte ad un romanzo di ampio respiro, una vera sfida che l’autore accetta e porta avanti con rigore e determinazione, fondendo in un perfetto ed accurato mix eventi storici e invenzione letteraria, riuscendo ad inserirsi in quel solco ristretto di opere che ci hanno tramandato l’essenza nuda e cruda, spietata e senza silenzi, di quello che rappresentò la I Guerra Mondiale per chi visse quell’epoca, e mi riferisco a “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque e ad “Addio alle armi” di Ernest Hemingway. Nell’analisi del testo bisogna porsi dunque su due piani: quello storico e quello umano. L’interpretazione degli avvenimenti, dal punto di vista storico-militare, proposta da Cervo, è dunque quella della storiografia più recente, lontana quasi un secolo da quegli eventi e scevra da preconcetti e coinvolgimento emotivo, che addossa le responsabilità del disastro non tanto alla viltà dei soldati in prima linea, sfessati da due anni di sacrifici e sangue, demotivati, e spiritualmente lontani da una guerra che nessuno capisce e sente propria, quanto piuttosto all’ignavia e all’ottusità di generali che, di fronte alle difficoltà, scelsero come risposta una precipitosa fuga abbandonando un’intera armata a sé stessa, senza ordini e senza guida. L’altro piano, quello umano, sicuramente più romanzato, coinvolge di più il lettore che si appassiona e partecipa alle terribili prove che i protagonisti devono affrontare. Qua emerge la capacità narrativa dell’autore che riesce a costruire e regalare figure indimenticabili, da Tarcisio a Carretta, da Santini a Carminati, da Tamburini a Martinelli, da Ersilia ad Anita, da Francesca a Di Curto, che sono tutte ben caratterizzate psicologicamente e vivono una realtà propria ed autonoma all’interno del contesto globale, come tante tessere che completano con precisione il puzzle finale.

I Ponti della Delizia: la Speranza dopo la Tempesta

Convince assai la descrizione d’ambiente, cui contribuisce non poco, in taluni passaggi, l’uso del dialetto, sintomatico di quella babele che albergava nelle trincee e che, in un paese ancor giovane, per la prima volta metteva a stretto contatto genti provenienti da zone e culture diverse, tentando un amalgama che porterà, proprio dopo la disfatta, alla formazione di quello spirito di unità, di Nazione, ed infine alla vittoria regalando finalmente le motivazioni giuste per combattere. La guerra è però, anche e soprattutto, bestiale abbrutimento, i soldati allo sbando invadono città e paesi ormai quasi deserti, razziano, devastano, uccidono per avere una chance in più. I civili, dopo lo sfondamento, sono drammaticamente coinvolti, chi può si dà alla borsa nera, gli altri se ne vanno, lasciando tutto quello che hanno alle spalle, divenendo una colonna di disperati in balia degli eventi senz’altri averi al di fuori della propria vita. Atti di codardia e di coraggio, di sopraffazione e di solidarietà finiscono per fondersi ed intersecarsi, i buoni emergono, i cattivi fanno sentire la loro nefasta presenza: su tutto prevale comunque l’ineluttabile, o, meglio ancora, il fato, un destino cieco e beffardo. Quello che rende universale e attualissimo il romanzo è il prorompere deciso dell’umanità in senso lato che, anche nelle situazioni più disperate, tende sempre a prendere il sopravvento tirando fuori il meglio che dimora in ogni individuo, tanto da far emergere la solidarietà e l’amore, quello fugace ed intenso tra Tarcisio e Francesca, quello filiale tra Ersilia e Anita, quello in divenire tra Ersilia stessa e Martinelli, che sembra sbocciare come un fiore nella neve di fine inverno, quando tutto sembra perduto e disperato, regalando un messaggio finale di speranza. Un’opera che non lascia indifferenti, che ti prende al cuore dalla prima pagina e ti lascia svuotato e orfano quando arrivi alla parola fine. Da leggere, assolutamente!



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