Roma è una città da liberare.
Arrivo a questa conclusione banale alle soglie dell’estate del secondo decennio del nuovo millennio e alle soglie della stagione dei Pride.
E’ la città che ha conquistato il mondo e diffuso l’idea di civiltà che oggi, l’occidente, riconosce a partire dall’uso del diritto.
Roma, possiamo dire, ha fatto giurisprudenza per millenni. Oggi appare svuotata e divorata da se stessa, erede di un sistema perverso che si crea e si distrugge ogni volta e rinasce sempre uguale a se stesso.
La Roma dell’Impero era una capitale di un mondo basato sulla diversità, la cui conquista passava sì per le armi, ma non per l’imposizione del pensiero unico in termini di usi, costumi e cultura. La Chiesa che ha ereditato la struttura burocratica dell’Impero Romano ha capovolto questo schema: non governa direttamente i territori, ma vi incide pesantemente.
Il primo Pride a Roma è datato 1994, anno in cui Berlusconi a marzo vinceva le elezioni e a solo un anno dall’elezione di Francesco Rutelli che, con la sua elezione, segnava una profonda rottura con l’amministrazione precedente e sanciva la nascita del “famoso” modello Roma voluto da una generazione di centro sinistra che rottamando la precedente prese la città in un coraggioso tentativo di rinnovamento.
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