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I primi vagiti di Mario Monti. I politici scappano e la Lega riapre il parlamento padano. O signùr

Creato il 15 novembre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti

I primi vagiti di Mario Monti. I politici scappano e la Lega riapre il parlamento padano. O signùr

Non si può certo dire che a Mario Monti difetti la comunicazione. Al contrario della vile razza dei politici che sta fuggendo da qualsiasi responsabilità a gambe levate (avendo però l’accortezza di rendere difficile la vita di chi resta), il professore presidente della Premiata Ditta Marketing Bocconi&Co., ha il dono della chiarezza che, di questi tempi, è cosa rara. Dice il professore: “Un governo a tempo lancerebbe un segnale di instabilità e di provvisorietà che i mercati male interpreterebbero. Avanti dunque fino al 2013 altrimenti me ne vado”. E ancora: “Non c’è dubbio che la presenza dei politici nel governo, non fosse altro che per garantire l’apporto di risorse umane indispensabili a portare a termine il programma, non mi dispiacerebbe affatto”, aggiungendo sibillino: “Però se non dovessero entrare lo capirei”. Come dire: “Il momento è difficile, occorrerà prendere misure impopolari, i signori della politica non vogliono metterci la faccia”. Eppure, sempre il professore, è stato chiarissimo anche su un altro punto che ha declinato come meglio non si potrebbe: “Agli italiani chiederemo sacrifici sì ma non sicuramente lacrime e sangue”. Se ci è consentito dirlo, questa affermazione ha sensibilmente placato il terrore dei nostri connazionali che già si vedevano con la carriola piena di soldi in fila davanti ai forni e alle latterie, proprio come gli argentini all’indomani del default.

Sanno, sempre i nostri connazionali, che Mario Monti dovrà mettere mano alle pensioni, forse all’Ici sulla prima casa, sicuramente sui costi della politica e altrettanto sui grandi patrimoni. Sanno che non sarà più possibile continuare a gestire 3 miliardi di ore di Cig né perpetuare sprechi insostenibili per una sanità pubblica ormai svilita e indebitata dalla concorrenza, incentivata dallo stesso Stato, di quella privata. Sanno anche, però, che la scuola e le università avranno bisogno di risorse, che la ricerca non potrà più essere il fanalino di coda di una nazione che rischia di impoverirsi scientificamente e culturalmente, e che è indispensabile modificare il mercato del lavoro incentivando la flessibilità e combattendo la precarietà. Sanno che la tracciabilità bancaria è uno strumento indispensabile per combattere l’evasione fiscale e che non può essere fatta partendo da 20mila euro, come i ricchi vorrebbero, ma da 300. Su questi punti si gioca il destino del paese. Lo sa Mario Monti, lo sa il presidente Napolitano, lo sanno gli italiani e, purtroppo lo sanno anche i politici che siedono indebitamente e immeritatamente sui banchi di Montecitorio e di Palazzo Madama. E infatti scappano, abbandonano la nave non come marinai sulle scialuppe di salvataggio ma come i topi che escono fuori, tutti insieme, dalla stiva dove rosicchiavano il grano fino a pochi minuti prima del naufragio. E chi pensa che non vogliono entrare nel governo per non dare l’impressione di stare inciuciando, sbaglia clamorosamente: la nostra classe politica non vuole semplicemente mettere la faccia a sacrifici che ne minerebbero la loro immagine alle prossime elezioni. Che i politici nostrani non siano “cuori di leone” lo sanno tutti, ma che fossero anche vigliacchi era un fatto che solo un momento come questo poteva portare definitivamente alla luce.

Chiariamoci però. A noi il professor Monti non è che stia proprio simpatico. Per anni abbiamo considerato il “modello bocconiano” come l’epigono del capitalismo e lo strumento cardine del consumismo. Il suo “marketing totale”, quello che prevedeva lo stesso trattamento per il lancio di un libro o di una saponetta al gelsomino, ci ha sempre fatto profondamente irritare ma, tutto sommato, era un modello. Criticabile o meno, il marketing dei bocconiani era riferito a prodotti di consumo veri, reali, concreti, quello berlusconiano al nulla dei sogni irrealizzabili per tutti meno che per lui. In questi giorni nei quali se ne sono dette di tutti i colori, ci ha colpito una frase di non ricordiamo chi, collaboratore del Professore quando era alla UE. Citiamo a memoria: “Mario Monti ha il pallino dell’antitrust, e ne sa qualcosa Bill Gates. Non mi meraviglierei se mettesse mano alla commistione tutta italiana fra banche, assicurazioni e buona parte della sanità privata che, se qualcuno non se ne fosse ancora accorto, rasenta il ‘cartello’”. E ha aggiunto: “Lo stesso discorso potrebbe riguardare le compagnie petrolifere e le posizioni dominanti nella comunicazione”. Diciamocela tutta, non pensate che l’economia di una nazione si basi anche sui risparmi che derivano da una concorrenza sana e non in fase terminale come in Italia? Non credete che Berlusconi abbia fallito miseramente sul punto fondamentale della sua politica, quello di uno stato “liberale e liberista”, e non abbia invece mantenuto la centralità dello Stato per incentivare il suo patrimonio? Come si può definire altrimenti la posizione del premier per quanto riguarda, ad esempio, la raccolta pubblicitaria per le sue televisioni (compreso il digitale terrestre), le vendite e i giochi d’azzardo on line? Ma qualcuno può onestamente pensare che Silvio ha lasciato senza avere l’assicurazione che i suoi affari non verranno toccati? A proposito, visto che è fuori dal governo, la Lega ha riaperto il Parlamento Padano, l’unico nel quale ha la maggioranza assoluta e può decidere quello che vuole. Fonti vicine a Maroni ci dicono che il titolare del Bar dello Sport di Andro è incazzato nero: le camicie verdi, per riunirsi, gli hanno espropriato la sala giochi.


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