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Luca Ricolfi (clicca qui) è un editorialista fra i più preparati, fra i più ragionevoli e fra i meno faziosi che abbiamo in Italia, capace di criticare, con la medesima assenza di remore, il proprio partito, se tale è, e il partito avverso. Un uomo capace di ragionare esclusivamente con la sua testa.
Oggi sostiene una tesi indiscutibile: che il problema centrale e risolutivo dell’Italia, di cui per una ragione o per l’altra non si interessano né la destra né la sinistra, è la disoccupazione. Noi avremmo bisogno di sei milioni di posti di lavoro. Ma “creare 6 milioni di nuovi posti di lavoro è un’impresa politicamente contraddittoria. La piena occupazione, infatti, è un obiettivo di sinistra … tuttavia, oggi che non possiamo più spendere in deficit può essere raggiunto solo con mezzi considerati di destra: il taglio della spesa pubblica, la liberalizzazione del mercato del lavoro e la riduzione delle tasse sui produttori, a partire dall’imposta societaria”.Parole d’oro, ma Ricolfi si ferma prima dei corollari. Innanzi tutto non dice perché la soluzione di “spendere in deficit”, adottata in passato, non può più essere utilizzata oggi: non si può vivere di debiti. Se c’è un momento in cui li si contrae, ci deve poi essere necessariamente un momento in cui li si rimborsa. Naturalmente qualcuno può obiettare che bisogna distinguere i debiti per gli investimenti dai debiti per i consumi. Se uno Stato chiede denaro per dotarsi delle infrastrutture che lo trasformeranno in un esportatore di successo, quei debiti (sempre da rimborsare) saranno benedetti. Il Paese, con le nuove industrie, incasserà di che rimborsare i creditori ed avere un utile. Se viceversa “la spesa in deficit” di cui parla Ricolfi è, più o meno, quella di cui parlava qualcuno - pagare un gruppo di lavoratori perché scavi delle fosse e un altro gruppo perché le riempia - l’operazione non è produttiva e a lungo termine è disastrosa. E a giudicare dall’enorme debito pubblico da cui siamo oppressi, si direbbe che l’Italia fino ad oggi è stata capace soltanto di questo secondo tipo di intervento. Un tipo d’intervento che per giunta l’Unione Europea oggi ci vieta severamente.Non rimane che la seconda soluzione: “il taglio della spesa pubblica, la liberalizzazione del mercato del lavoro e la riduzione delle tasse sui produttori”. Ma se queste sono le cose da fare, con quale coraggio chiamarle “di destra”? Se un’automobile si ferma perché è finita la benzina, immettere carburante nel serbatoio è una soluzione di destra o di sinistra? E se è semplicemente “razionale e realistica”, definirla di destra corrisponde a dire che la sinistra è “irrazionale e irrealistica”. E non è che arrivare a questa conclusione abbia chissà che di sconvolgente: abbiamo visto cento volte la Cgil - non parliamo della Fiom - comportarsi in un modo assurdo. Dal coraggio di Ricolfi ci saremmo aspettati l’esplicitazione di questo concetto.Ma forse egli non l’ha fatto perché è stato cosciente che dicendo cose del genere avrebbe superato i limiti di sopportazione del Pd. Inoltre - e questo è ancora più grave - se è vero che quei provvedimenti sono gli unici che potrebbero salvare l’Italia (e dunque non sono “di destra”, sono necessari) è anche vero che contro di essi sono non soltanto gli italiani di sinistra ma anche quelli di destra, e comunque coloro che da essi si sentirebbero personalmente danneggiati. E che coalizzandosi hanno sempre avuto la forza di bloccarli.Nessun governo, nessuna maggioranza possono adottare i provvedimenti di cui l’Italia ha bisogno. La riprova dell’incancrenirsi dei nostri mali è il progredire del debito pubblico. Mentre gemiamo sotto il peso degli interessi da pagare, il totale di ciò che dobbiamo continua ad aumentare. Ciò significa che non soltanto non siamo in grado di ribaltare la tendenza economica, ma non siamo nemmeno capaci di bloccarla in modo che non peggiori. E non c’è modo di spiegare che bisognerebbe cambiare mentalità. Immaginiamo che qualcuno dica in piazza: “Perché si creino posti di lavoro gli imprenditori devono avere interesse ad assumere dei lavoratori. Perché ciò avvenga, è necessario che essi ci guadagnino, nel senso che, pagando cento al dipendente, ne ricavino centodieci. Dunque dobbiamo fare ponti d’oro a chi vuol intraprendere in Italia, promettendogli che si arricchirà. Dobbiamo fare in modo che, almeno nel breve termine, i lavoratori diminuiscano le loro pretese e gli imprenditori si arricchiscano”. Quante persone applaudirebbero? E allora teniamoci la rivelazione che l’Italia non avrebbe bisogno di provvedimenti “considerati di destra”, ma di provvedimenti razionali. E che gli italiani vi si oppongono. La situazione è senza uscita.Gianni Pardo, [email protected]6 luglio 2014(1)http://www3.lastampa.it/fileadmin/mobile/editoriali.php?articolo=1http://feeds.feedburner.com/BlogFidentino-CronacheMarziane
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