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I racconti dell’AlhAnna. Le mille e una chiese di Cappadocia: non solo camini delle fate

Creato il 01 settembre 2014 da Annerrima

La Cappadocia a settembre è magia. Dopo una settimana immersi nella confusione levantina di Istanbul, venire qui è stata una benedizione fatta di lentezza e di silenzio, di lunghe camminate e di scoperte.

Dopo dieci ore di viaggio notturno, dopo aver visto un’alba mozzafiato sulla pianura, su un lago che sembra più un immenso stagno (Tuz Golu) ed essere stati svegliati perché dormivamo distesi su due poltrone anziché su una da un assistente di viaggio nevrotico e burocrate che spruzzava di continuo tremendi profumi nel bus, siamo arrivati a Göreme. La guida Routard ne parla come di un borgo bello ma turistico, così, per evitare di finire nella Bibione turca, costruendo l’itinerario, avevo optato per Çavusin. È un paesino rurale a pochi chilometri, con famiglie che vivono in casette di tufo simili alle rocce dei camini delle fate, con animali da cortile, frutteti e vigne da cui producono principalmente uva passa.
Akhmet, il padrone dell’hotel, ci viene a prendere in auto e ci dà subito delle dritte per le passeggiate. È una guida speciale: si prende cura dei suoi ospiti in maniera discreta ma accurata, ci consiglia cosa fare in così poco tempo per vedere l’essenziale e ci racconta molti aneddoti relativi al posto.
Lui stesso, da bambino, viveva in una di quelle case scavate nelle rocce che punteggiano la zona e che sono state liberate degli abitanti nel 1995, quando l’UNESCO ne ha fatto patrimonio mondiale. Ma secondo lui era meglio prima, quando ci abitavano le persone, perché “se da un lato si usavano pietre storiche per costruire altre case e nessuno diceva niente, dall’altro almeno ogni privato si occupava della manutenzione delle case già esistenti per evitare che crollassero”.
Akhmet sa che cosa piace ai suoi ospiti, quasi tutti francesi, e li consiglia a dovere.
Così ieri pomeriggio dopo una pausa sonno essenziale, siamo andati a conoscere i famosi camini delle fate. Dopo esserci imbattuti in una falsa guida che tra l’altro voleva farci fare una discesa tremenda anche per noi che avevamo scarpe da trekking – e lui aveva ciabatte di plastica! – abbiamo trovato la strada giusta e siamo passati attraverso le rocce, non senza visitare gli interni che hanno una strana intimità. È come se, entrando, si sentisse ancora l’atmosfera di casa. Forse qualcuno ci vive ancora… Chissà quante leggende ci sono in proposito.
Ma il vero capolavoro del luogo sono le chiese rupestri. Quella di Niceforo II Foca, detta Grande Piccionaia, è tra le più belle che abbiamo visto, con scene bibliche ed evangeliche dipinte all’interno e all’esterno; e quella di San Giovanni Evangelista, con affreschi ormai rovinati.
In generale, mi chiedo come sia possibile che in chiese di così intima bellezza, luoghi antichissimi pieni di questa spiritualità, che abbiamo visitato anche tra i pinnacoli del Cammino Rosa e del Cammino Rosso, siano in questo stato di semi abbandono. E mi si stringe il cuore.


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