Una delle stazioni del Telesope Array, con all’interno una batteria di telescopi a fluorescenza. Crediti: Telescope Array Project
I fisici di tutto il mondo aspettano con impazienza la riaccensione del Large Hadron Collider (LHC) del CERN in Svizzera, il più grande acceleratore di particelle mai realizzato, che con gli ultimi aggiornamenti, permetterà di studiare particelle elementari con energie superiori ai 10 TeV (Tera elettronvolt, ovvero mille miliardi di volte l’energia cinetica acquisita da un elettrone che si muove nel vuoto tra due punti tra cui esiste una differenza di potenziale di 1 Volt). Valori elevatissimi, se paragonati a quelli dell’energia trasportata dai fotoni della radiazione luminosa, ovvero cinquemila miliardi di volte più deboli. Siete un po’ disorientati da questi numeri? Tenetevi forte, il bello arriva adesso.
Il team di ricercatori del Telescope Array (TA), che si trova nello Utah, Stati Uniti, annuncia in un articolo in pubblicazione sulla rivista Astrophysical Journal Letters l’identificazione di raggi cosmici con energie superiori a 57 Exa elettronvolt, ovvero 57 miliardi di miliardi di elettronvolt. Se volete, potete scriverne il valore numerico come ‘57’ seguito da diciotto zeri. L’energia di questi proiettili spaziali, costituiti in gran parte da protoni e, molto più raramente, da nuclei di atomi più pesanti, come elio, carbonio, ossigeno, azoto e perfino ferro, è di almeno seicentomila volte maggiore di quella che potranno raggiungere le particelle nella loro frenetica corsa, prossima alla velocità della luce, nell’anello di 27 chilometri di LHC.
Questi raggi cosmici ultra energetici arrivano però con il contagocce: Il Telescope Array in cinque anni, dal 2008 al 2013, ne ha identificati, analizzati e confermati appena 72. La loro energia, seppure non tra le più alte mai registrate, è pari a quella rilasciata nell’urto di una palla da baseball scagliata ad alta velocità (tipo quella che Aroldis Chapman dei Cincinnati Reds, in una partita del 2011 contro i Pirates di Pittsburgh, lanciò a 170 chilometri orari). La Terra è continuamente bombardata da miliardi di particelle di questo tipo, dotate di un ampio spettro di energia. Fortunatamente a proteggerci da questo bombardamento c’è la nostra atmosfera che fa da scudo: quando queste particelle, arrivando dallo spazio esterno, penetrano nella nostra atmosfera, prima o poi si scontrano con le molecole di azoto o di ossigeno che ne costituiscono la maggior parte, generando una pioggia di particelle secondarie che, a seconda dell’energia di quella incidente, può arrivare fino a terra. Inoltre le particelle, interagendo elettricamente con le molecole dell’atmosfera, emettono anche dei lampi di luce detti di fluorescenza. Sono proprio questi effetti dell’interazione tra la radiazione cosmica primaria e l’atmosfera terrestre che vengono monitorati dai sensori a fluorescenza e dagli oltre 500 scintillatori del Telescope Array, distribuiti su una superficie di quasi ottocento chilometri quadrati nel deserto dello Utah.
Generalmente i raggi cosmici provengono da tutte le direzioni ma nel campione analizzato dai 125 ricercatori della collaborazione, appartenenti a istituti statunitensi, giapponesi, coreani, russi e belgi, emerge che 19 eventi hanno origine in una zona relativamente limitata del cielo, un cerchio del diametro di circa 40 gradi posizionato in direzione della costellazione dell’Orsa Maggiore. Certo, seppure limitata, l’area è comunque molto ampia e ricchissima di oggetti celesti. “Adesso siamo più vicini a scoprire le sorgenti di questi raggi cosmici” dice Gordon Thompson, fisico dell’Università dell’Utah, portavoce e co-PI del Telescope Array. “Ora sappiamo dove cercare”. Ma la ricerca non sarà certo agevole, anche perché non è ben chiara la stessa origine dei raggi cosmici ultra energetici. Molti astrofisici sospettano che a generarli siano i nuclei galattici attivi (AGN), dove la materia viene risucchiata in parte nel buco nero supermassivo al centro della galassia e in parte viene espulsa lontano da esso in un getto collimato a velocità prossime a quelle della luce. Ma un’altra possibilità al vaglio degli scienziati è quella che i raggi cosmici di più alta energia vengano generati da alcune supernovae, accompagnati da intense emissioni di raggi gamma.
“L’origine della radiazione cosmica ed in particolare di quella di altissima energia è uno dei grandi misteri che ci accompagna ormai dalla loro scoperta avvenuta più di 100 anni fa ad opera di Victor Hess, Domenico Pacino e altri pionieri di questi studi” dice Angelo Antonelli dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, coinvolto negli esperimenti MAGIC, CTA ed ASTRI. “Ormai sappiamo che i meccanismi in grado di accelerare le particelle a queste energie veramente enormi devono solo trovarsi al di fuori della nostra galassia. La sfida ora è riuscire ad identificare senza ambiguità le sedi di tali meccanismi perché, una volta identificate, sarà possibile conoscere meglio la fisica ma anche la natura di questi oggetti estremi che popolano il nostro Universo. Il risultato riportato dalla collaborazione TA va proprio in questa direzione e, anche se l’incertezza sulla posizione è ancora molto grande, riduce enormemente la regione di cielo in cui andare a cercare. L’INAF si sta impegnando in questo campo partecipando, con un ruolo di primo piano, al grande progetto internazionale per l’astronomia gamma da Terra chiamato Cherenkov Telescope Array. In particolare sta realizzando, attraverso il Progetto Bandiera ASTRI, un mini-Array di telescopi a luce Cherenkov che saranno il seme del CTA ed il complemento alle energie più basse agli esperimenti dedicati allo studio degli eventi di altissima energia quale quello che ha fatto la recente scoperta”.
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani