Dal punto di vista del panorama sociale-religioso italiano ed europeo, uno sguardo veloce e distratto potrebbe portare a una duplice predizione circa la nostra società: sarebbe destinata a un crescente secolarismo; sarebbe destinata ad essere sempre più islamizzata (“eurabia”). Si tratta di una convinzione relativamente diffusa, che proietta nel futuro – in maniera immediata e un po’ semplicistica – le linee di tendenza degli ultimi decenni.
La scienza demografica però aiutare a ridimensionare, se non sfatare, questo duplice mito. Va segnalato in particolare un contributo del sociologo inglese Eric Kaufmann, un libro il cui titolo tradotto risulta I religiosi erediteranno la terra? (2010, online, intervista sintetica).
L’autore, sulla base di considerazioni del tutto statistiche e demografiche, sostiene (tra le altre cose):
* il secolarismo non sarà preminente. La frequenza religiosa non è significativamente calata dal 1989, dopo il tracollo degli anni ’70 e ’80. E i tassi di fertilità di donne e famiglie religiose sono più elevati di quelle non religiose, in particolare per i gruppi fondamentalisti di varie religioni (Protestanti, Ebrei, Islamici). A lungo andare quindi il secolarismo sarebbe, di per sé, destinato all’estinzione;
* l’Islam non sarà prevalente. Attualmente, in Europa come nel resto del mondo, i tassi di fertilità di famiglie di tradizione cristiana sono inferiori a quelli islamici. Ma via via che procede l’occidentalizzazione delle nazioni o degli immigrati musulmani, questi tassi tendono ad abbassarsi, e attorno al 2030 dovrebbero arrivare a essere comparabili.
A queste ipotesi, tutto sommato “ottimiste”, mi sentirei però di fare alcune precisazioni. In campo demografico la religione può anche essere considerata – come fa Kaufmann – come un fenomeno quasi ereditario, che si trasmette intatto dalla famiglia ai figli. Ma non è sempre così, almeno nella nostra cultura occidentale. È vero che ci possono essere adolescenti che riscoprono la fede dopo un’educazione famigliare tiepida, decidendo autonomamente di passare per la porta stretta. Ma è anche vero che può accadere il contrario, scegliendo la porta larga e la via spaziosa: pensiamo alle tante “buone” famiglie che fanno il possibile per trasmettere ai figli solidi valori morali e religiosi, ma si ritrovano – in particolare nell’adolescenza – con un rifiuto esplicito o pragmatico di tali valori. Credo sarebbe bene lasciare alla storia la risposta se, nel futuro, i credenti saranno un piccolo gregge o torneranno ad essere fattivamente maggioritari.
Quanto all’Islam, al di là di numeri e percentuali, il confronto-scontro con l’occidente cristiano (o post-cristiano) è un dato di fatto, che si mostra particolarmente sanguinoso in nazioni come la Nigeria, tralasciando i sporadici e cruenti attentati che negli ultimi anni hanno insanguinato il mondo. E via via che crescerà il confronto e la convivenza, ci sarà sempre il rischio che crescano i fondamentalismi violenti, anche se minoritari rispetto a una maggioranza civile, moderata e integrata.
La speranza è che l’Islam, nel prossimo futuro, si impegni in un lavoro di ripensamento di alcuni fondamenti dottrinali che possono essere incompatibili con la cultura occidentale: la schiavitù, la condizione femminile, la violenza religiosa, la libertà di culto, dunque in generale i diritti umani. E concludendo con una nota di ottimismo, va notato che le (seppur sanguinose) sommosse della recente “primavera araba” hanno messo in risalto in questi paesi il valore della democrazia, con la sostanziale uguaglianza civile di uomini e donne. Concetto di per sé alieno dalla dottrina e dalla tradizione islamica.