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I rintocchi dell'estate.

Da Suster
I rintocchi dell'estate.
Tutti i più importanti cambiamenti della mia vita sono avvenuti in estate.
In estate il tempo langue e sembra sia fiaccato anche lui dalla gran calura, come gli orologi flosci di Dalì, carcasse meccaniche in decomposizione, aggredite da sciami di formiche. E invece va avanti, procede un po' impigrito, che tu non te ne accorgi finché: DONG! Non senti il suo rintocco. Ed è già finita.
In estate è nato mio fratello, e ho smesso di essere e di sentirmi la più piccola. Ho iniziato a vedermi come qualcuno che può e deve prendersi cura di qualcun altro. E prendersi cura di qualcun altro spesso può rivelarsi una grande risorsa per se stessi. Ti aiuta a sentirti importante.
E io contavo i miei anni basandomi sull'età di lui, perché festeggiava i suoi compleanni sempre mentre eravamo in vacanza, un anno in un posto, l'anno successivo in un altro, ogni volta una casa diversa, ricordi e fotografie che scandivano il volgere di un nuovo anno lavorativo, ed era più facile ripercorrerli poi con la memoria, dunque: quando eravamo a Tortoreto e tu avevi compiuto cinque anni, io dovevo farne nove...
In estate ho perso mio padre. Guarda un po', se doveva andare a coincidere con il giorno in cui è nato mio fratello. Quella volta ho smesso di essere anche un po' figlia. Ho smesso di avere paura di perdere qualcuno, perché era successo davvero, e quando le tue paure più grandi diventano realtà, non hanno più motivo di esistere. Ho smesso di sentirmi fragile e bisognosa di una mano forte a sorreggermi perché quella mano non era più lì a sorreggermi. Terapia d'urto. Ho smesso anche di conteggiare gli anni sull'età di mio fratello, perché abbiamo smesso di fare le vacanze tutti insieme; per lo meno, non ogni anno, ed era diverso.
In estate ho finalmente trovato il coraggio di dire a una persona che volevo stare con lui. Ho smesso di sentirmi inadeguata, e ho scoperto che si poteva fare, quella cosa di lasciarsi andare, di ammettere di fronte a qualcun altro che provi qualcosa per lui, di speciale. Ho accettato la mia vulnerabilità. Ho messo in discussione la mia necessità di difendere la faccia, più che il cuore. Ho dato uno scrollone alla mia persona e mi sono inebriata di felicità. E poi giù e poi su. Ho scoperto che poteva succedere anche a me, che anche io potevo far parte di quel gioco di parti, e anche ho scoperto che anche io facevo innamorare le persone (gli uomini!) di me, e non l'avrei mai detto. Se solo mi fossi mostrata più accessibile, meno inespugnabile...
Hasuna perde in continuazione il conto degli anni, fa confusione con gli episodi, sconvolge le cronologie, e io mi arrabbio sempre. Mi rendo conto ora che lui quella necessità di tenere il filo, di contare mentalmente i rintocchi dell'orologio del campanile, non ce l'ha. Mi chiedo anche che razza di memoria ci si possa costruire così.
In estate è nata mia figlia. E io sono diventata madre. Allora ho capito che non si può più tornare indietro. Quando si passa da uno stato a un altro la cosa è irreversibile, qualsiasi cosa accada dopo. Solo, quella che eri prima, da qualche parte dentro te la trascini ancora, tuo malgrado o forse per tuo accanimento, ma l'hai inesorabilmente, irrimediabilmente, messa da parte, per far spazio al nuovo, che per forza, quando arriva è un po' un macello, e lo spazio manca sia fuori che dentro, ma una volta che si sistema, e prende il suo posto, rimuoverlo sarà impossibile. E il vecchio che c'è in te, si farà ancora un po' più da parte, in un angolino, refrattario a levarsi di mezzo.
E' forse questa la persistenza della memoria di cui parlava l'artista?
Così l'estate batte i suoi rintocchi nella mia vita, quando il tempo è maturo e sembra chiudersi un ciclo, come una volta l'anno scolastico, con tutti i suoi rituali di chiusura che si tirava dietro, e il caldo, e l'impaziente euforia delle vacanze, lunga pausa oziosa come le sue assolate giornate pigre, in città, tra tv e sole in giardino, aspettando agosto per partire finalmente, e quando infine arrivava, sembrava già che l'estate fosse finita, malgrado mancasse più d'un mese ancora.
Siamo sempre così, ci maceriamo tra attesa spasmodica, e rimpianto nostalgico, e dimentichiamo l'ora, l'adesso, che non si vede bene, perché ha confini labili ma c'è.
E allora scusate il titolo ad effetto, che potrebbe benissimo essere quello dell'ennesimo best seller di stampo sentimentale drammatico in prossima uscita, da acquistare come lettura da spiaggia, tanto si sa che non vale gran che, ma se n'è parlato tanto, che alla fine mi è venuta la curiosità, e ti aspettavi talmente una cagata, che alla fine invece lo trovi carino, anzi, devo ricredermi: niente male, peccato il titolo da pellicola holliwoodiana di stampo sentimentale-drammatico...
E' che guardando la pupa soffiare sulle sue pennette al formaggino per farle raffreddare prima di metterle in bocca, ho pensato: "Tu guarda! Ha imparato a soffiare", e che tra poco così potrà spegnere da sola la sua unica candelina.
E allora forse ora conteggerò il tempo sui suoi anni.
Sarà lei il nuovo punto di riferimento su cui costruire i miei ricordi?
E lo so che sembra alquanto patetico che a una venga da piangere per una cosa simile, davvero, non so spiegarmelo.
E' anche piuttosto superficiale soffermarsi troppo sul senso di una scadenza che quando vai a stringere, vuol dir poco e niente, ché l'uomo il tempo l'ha suddiviso in unità più piccole per poterlo misurare, e ogni punto fermo nel suo incessante scorrere non è che una convenzione.
Ma sarà che in queste convenzioni noi ormai ci tracciamo e rintracciamo le coordinate della nostra vita, o che l'effettiva conclusione di questo primo anno mi preannuncia quasi le successive, in un susseguirsi inarrestabile di cose che dimenticherò.
Insomma, mi chiedo cosa accidenti ci sia da commuoversi.

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