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I segni dell’inganno e le regole del gioco

Creato il 05 luglio 2010 da Stampalternativa

I segni dell'inganno di Caterina MarroneSe si è adoperata la parola “gioco” lo si è fatto secondo il modo filosofico wittgensteiniano, ossia come equivalente dell’inglese game, nel senso cioè di “pratiche, azioni rette da regole esplicite o implicite”, giochi non necessariamente ludici. Differentemente da quanto accade in italiano dove sotto l’univoco termine “gioco” convivono più tipi di accezioni, ovvero di raggruppamenti semantici, in inglese invece si distinguono voci diverse: game appunto, gioco regolato, oppure play, gioco non necessariamente guidato da norme: i giochi con la palla, per esempio, ball games, sono governati da regole, mentre i giochi d’acqua, plays of water, non lo sono. Nel campo semantico della parola “gioco” in italiano quindi non si avverte, se non debolmente, la differenziazione dei giochi retti o meno da regole, anzi a volte nella pratica si finisce per offuscarne la diversità di senso, avvertita forse come irrilevante.

Orbene, nel momento in cui si fanno rientrare le scritture in codice tra i giochi-games filosofici di Wittgenstein del leggere e del derivare significa che, per lo più, si intende riferirsi ad azioni e pratiche che sottostanno a regole. Chiaro deve essere che il gioco delle crittografie è un gioco di sbarramento o di inganno, fatto per impedire che si legga un testo e/o per indurre altri in errore: per scrivere quindi è necessario “derivare” secondo certe modalità e per “leggere” bisognerà conoscere o ricavare le norme utilizzate dall’autore per contraffare lo scritto allo scopo di ricostituirlo nel suo ordine chiaro e originario.

Tali giochi crittografici, quelli di cui si parlerà in questo capitolo, sono strettamente legati agli alfabeti di tipo fonetico, ossia agli alfabeti che tutti conosciamo e di cui la modernità si avvale, siano essi latini o greci, oppure anche agli alfabeti sillabici come quelli ebraici, arabi o altri purché il loro sia un sistema basato sulla discretezza, ossia su un insieme numericamente finito di elementi e tale che questi elementi dell’insieme non siano continui. André Martinet (1908-1999), l’insigne linguista francese, nel suo Éléments de linguistique générale (1960) spiegava molto bene questo concetto basilare sia delle lingue storico-naturali sia di tutti i sistemi semiotici basati sugli alfabeti – e denominati, per l’appunto, scritture alfabetiche.
Egli scrive che tra le parole pollo /’pollo/ e bollo /’bollo/ esiste una sola differenza per dare significato diverso ai due vocaboli: l’uso in una del fonema /p/ e nell’altra del fonema /b/. Dal punto di vista dell’atto fonatorio, del parlato, «è possibile passare insensibilmente dall’articolazione caratteristica di /b/ a quella di /p/ riducendo progressivamente le vibrazioni delle corde vocali». Fisiologicamente si trova qui, anche se con le dovute differenze, la stessa continuità senza salti che troviamo per esempio nell’ascesa melodica della voce. Nel caso delle vibrazioni che caratterizzano /b/ rispetto a /p/, finché esse restano percettibili, la parola viene capita come “bollo”, ma quando si arriva a una certa soglia, che del resto può variare secondo il contesto e la situazione, l’uditore capirà invece “pollo”, cioè l’iniziale sarà interpretata come /p/ invece che come /b/ cambiando in maniera completa il senso del messaggio.

Si potrà essere incerti, quando nella situazione dello scambio comunicativo ci siano dei difetti di ricezione, se propendere per una frase come guarda quel bollo o guarda quel pollo, ma si dovrà scegliere necessariamente tra uno dei due enunciati: una frase intermedia in italiano non ha senso, tertium non datur.


I segni dell’inganno - Semiotica della crittografia di Caterina Marrone
Collana Scritture
200 pagine
ISBN: 978-88-6222-132-0


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