Nei Sei personaggi di Pirandello la rappresentazione è morta, morto è l’autore. In sua assenza l’opera creativa della natura continua: l’autore ne è in fondo solo uno strumento, guarda, assiste allo spettacolo dei personaggi creati dalla fantasia e trascrive.
Crolla la rappresentazione con le sue norme, il suo carattere di condivisibilità sociale. La politica, segue la tendenza del rafforzamento e della concentrazione dei poteri e affonda nel disastro fascista. La crisi delle arti aveva manifestato che il potere stesso nulla può e la distruzione tutto travolge tranne la memoria.
Nei Sei Personaggi la razionalità non interviene più a mettere in ordine ciò che la fantasia ha generato: era l’intervento necessario per imporre alla creazione artistica i criteri dell’arte. Ovvero l’ordine, la consequenzialità logica dello sviluppo nel tempo, la chiarezza e comprensibilità della forma.
Il dramma dei personaggi esiste invece già senza autore. Essenzialmente mai esiste l’autore. Che può intervenire come il capocomico per dare una comprensibilità al dramma dei sei personaggi apparsi dal nulla sul palcoscenico: il dramma però resta tale, dentro i personaggi, inestricabile. L’attore a sua volta non può far proprio il personaggio. L’attore recita nella macchina-teatro, nell’organizzazione ministeriale e statale dello spettacolo teatrale, che risponde a criteri pragmatici, commerciali, di rappresentabilità pubblica (e infatti il capocomico censura, rende digeribile, commerciale lo spettacolo). L’attore è solo un professionista che presta il proprio lavoro ma l’anima del personaggio non è sua non è per lui, non lo riguarda proprio.
Il sistema del teatro e della rappresentazione salta.
Allora il dramma reale, quello dei personaggi che non possono essere attori, deve consumarsi e può farlo solo disturbando un altro spettacolo. Il teatro interrompe il teatro: più che teatro nel teatro è contro il teatro. Il palcoscenico è terreno di conflitto, non appartiene più a nessuno di preciso.
Il teatro esiste addirittura quando il pubblico non c’è, durante una prova.
Il dramma però si deve consumare comunque: deve deflagrare, come un destino che non si può evitare, che appartiene solo ai personaggi che un autore ha espulso dal mondo della rappresentazione e che vagano…. nella rappresentazione cui non possono appartenere, sventrandola, distruggendone le regole, mettendola in pericolo costante, disturbandola. Un colpo di scena che non diventa “colpo di stato”, appropriazione del teatro: il palcoscenico si lacera, resta sempre in discussione la legittimità degli attori e dei personaggi.
L’arte è deceduta con la ragione che ha perso il comando. Non c’è più schematismo trascendentale che funzioni.
Rimane il fascino del dramma dei personaggi, la loro “passione”. Non razionalità, ordine, regole, no, solo la loro passione magnetizza l’attenzione del capocomico e degli attori, presupponenti, estranei ma anche incuriositi.
E la passione si alimenta dei rapporti fra i personaggi e i loro caratteri, procede facendoli entrare in un contrasto insanabile, crea un enigma, un sistema di relazioni intollerabile, che minaccia e fa presentire una catastrofe orribile.
Questo crescendo emozionale, sentimentale, che la razionalità, il senso pratico del capocomico cerca di rendere rappresentabile in ogni modo attrae in un vortice fino all’implosione dei personaggi. Il loro destino è apparire, entrare in una scena sconvolgendola ma senza appartenervi e morire svanire per il loro stesso essere.
Allora è una sconfitta del teatro tradizionale questa? Vengono distrutte solo le forme?
Salta il sistema della rappresentazione, resta solo il teatro sorpreso da se stesso, dalla sua natura più intima, la passione che la razionalità non riesce a contenere né fermare né regolare, come un uragano che deve colpire una città.
Fra i Sei Personaggi, il Padre cerca di spiegare, di rendere comprensibile la catastrofe che s’avvicina inesorabile: con i suoi straordinari discorsi non fa che preparare il terreno a una calamità, a un destino che parrebbe impossibile, illogico, insensato.
Ancora il divieto di rappresentare il complesso di Edipo, la tragedia di Edipo trascinato un’altra volta da forze irrefrenabili verso la rovina.
Ed Edipo è l’impossibilità della civiltà.