Perché si importa tutto questo grano?
Oggi la maggior parte del grano duro importato proviene da Canada e Sud America ma anche Australia, Russia, Ucraina, Messico. L’importazione selvaggia, come denunciato dalle associazione dei coltivatori, “ha eliminato gli introiti legati alla coltivazione di questo prezioso cereale”, da sempre vanto per la produzione pugliese, definita da sempre il “granaio d’Italia”. Dal 1990 ad oggi si è assistito ad una costante e progressiva diminuzione del prezzo del grano duro (e dei relativi ricavi) sia a causa dell’aumento del gasolio, sia della svalutazione della produzione locale legata all’importazione del prodotto estero. Secondo i dati forniti della Camera di Commercio della Provincia di Foggia si è passati da una quotazione di quasi 30 euro al quintale nel 1991 a quella di circa 13/15 euro di oggi. Alcune associazioni di consumatori hanno sollevato non pochi dubbi in merito alla sicurezza dei controlli effettuati sui cereali d’importazione che riguardano generalmente solo il 5% del totale. Agostino Del Vecchio (www.statoquotidiano.it) analizza un fenomeno che, da foggiano, conosce bene. La Regione Puglia e l’Italia necessitano di grano estero? Tiriamo un po’ di somme. La cerealicoltura italiana (1.100.000 tonnellate annui) potrebbe tranquillamente coprire le esigenze della produzione e del mercato locale senza dover ricorrere alle importazioni. Come ha sottolineato il presidente di Coldiretti Puglia Pietro Salcuni “Bisognerebbe introdurre una legge che preveda l’indicazione obbligatoria dell’origine del prodotto sufficienti a venir incontro alle necessità nazionale.” Ciononostante, denuncia la Associazione Consumatori, “Se ne importano 800.000 tonnellate, una enormità, mentre gli industriali italiani del settore utilizzano soltanto il 20% del grano duro della Puglia”. L’importazione selvaggia, sostiene la Confederazione italiana agricoltura (CIA), taglieggia i contadini, costretti a vendere sottocosto, senza produrre effetti benefici per le tasche dei consumatori, visto che il prezzo della pasta continua a mantenersi alto. La legge del libero scambio delle merci porterebbe, di conseguenza, ad una progressiva scomparsa del cerale locale a vantaggio di un prodotto importato più redditizio per pochi ma decisamente “più caro” per (quasi) tutti. Sul finire del 2007 è arrivato un vero “tsunami” con quotazioni alle stelle e l’illusione che la tanto criticata globalizzazione avesse portato a un nuovo equilibrio di mercato con un livello di prezzi all’agricoltore che gli permetteva sia di svincolarsi dalla dipendenza dagli aiuti comunitari sia, di vedersi riconosciuti prezzi equi. In realtà solo i grandi commercianti hanno alla fine guadagnato: il Gruppo Casillo di Corato ha potuto fare il botto raddoppiando il fatturato e chiudendo il 2007 con 412 milioni di euro! Ma poco rispetto agli introiti delle grandi multinazionali americane e dei vari fondi di investimento speculativi che fanno compravendita di contratti futures (cioè contratti con sottostante l’impegno a comprare grano fisico) che poi diventano carta che viene ricomprata e rivenduta per determinare oscillazioni degli indici in borsa con tutte le conseguenze che si ripercuotono sugli agricoltori.
Chi comanda il mercato del grano
Stefano Serra in Terra e Vita n.15/2010 illustra il quadro mondiale; a livello italiano e comunitario l’offerta è ampia ma strutturalmente polverizzata. A livello internazionale lo scenario è più complesso stante la ben nota concentrazione dell’offerta che, da un lato, impone ai produttori il minor “prezzo mondiale partenza” e, dall’altro, molto scaltramente, pilota le quotazioni “franco arrivo utilizzatore” riuscendo a sfruttare appieno la fragilità del nostro settore a grano duro, sempre più ostaggio di quelle aziende multinazionali il cui numero è da decenni ristretto alle dita di una mano. In aggiunta l’Europa, ormai da parecchi anni, ha deciso di azzerare le scorte all’intervento, mentre altri paesi come Canada e Usa non ne hanno affatto seguito l’esempio con il risultato che nel 2007/08 chi era “puro importatore” (Europa e Nord Africa) e senza scorte, ha subito passivamente l’escalation dei prezzi, mentre dall’autunno 2008 chi è “puro esportatore” (gli stessi Usa e Canada) e detentore di gran parte del “granaio mondiale”, dopo aver attivamente cavalcato la speculazione del 2007 continua oggi a pilotare prezzi e mercato in un regime di oligopolio che via via diventa più efficiente e difficile da scalfire.
Pensiamo solo alla fusione tra la canadese Viterra (che gestisce il 40% dei grani del Canada) con l’australiana Abb (Australian barley board) o agli accordi in essere tra le americane Chs Inc (colosso del grano duro Usa) e Cargill con aziende cerealicole “leader” in Messico e Australia. In poche parole, in regime di costi-ricavi risicatissimi, si impone l’analisi economica della convenienza o meno a produrre grano duro in Italia (e nel mondo) e tale analisi non è più un problema solo degli agricoltori, ma anche dell’intero comparto “dal campo alla tavola” se è vero ed è vero, che la globalizzazione e la concentrazione dell’offerta in poche mani (o Paesi) rischia di peggiorare una situazione già al limite e potenzialmente esplosiva fino all’estremo epilogo, che nessuno vuole anche solo immaginare di vedere via via scomparire la pasta “made in Italy” a favore di altre origini: pasta cinese? No grazie! Produrre grano duro in Italia spesso è meno economico che in Canada, è vero, ma se poi restassero solo i “monopolisti” canadesi dove andrebbero a finire la garanzia di fornitura, prezzi e la redditività dell’industria? All’estero alla semina si guarda più alle borse merci del momento che alla “tradizione” o alla “vocazione territoriale” e, sul fronte prezzi, è molto meglio sedersi e definire un “prezzo equo” che salvaguardi sia la produzione (che perderebbe i picchi tipo “klondike” ma eviterebbe anche le perdite tipo 2004) sia l’industria (sfido chiunque a produrre un budget 2007/08 che a maggio-giugno 2007 prevedesse i 500 euro di febbraio 2008 e il crollo dal maggio-giugno 2008) (source).
Il modello canadese come esempio per i nostri governanti?
Il Canada è il primo Paese esportatore di grano duro nel mondo, con circa il 50% del totale esportato, quali le ragioni di tale successo?
Il successo del Canada si basa su numerosi fattori, alcuni legati alla fortuna, ed altri, di carattere organizzativo, che assicurano la qualità del sistema canadese. I primi sono dovuti principalmente al clima delle grandi pianure del Nord, a Sud del Saskatchewan ed a Nord dell’Alberta, ideale per la produzione di grano duro. I raccolti degli ultimi anni hanno superato i 4 milioni di tonnellate e, dato il modesto consumo interno di grano duro, inferiore alle 250.000 tonnellate, viene assicurata una offerta stabile per l’esportazione. Negli anni ‘70 il Canada ha assunto un ruolo leader nell’esportazione di grano duro perché è stato capace di soddisfare le esigenze di nuovi parametri qualitativi espresse dall’industria della pasta in rapida espansione. Sono di questi anni le varietà Wascana e Wakooma che, rispetto alle precedenti varietà canadesi, hanno un glutine di maggiore tenacità ed un colore più accentuato. Il grano duro canadese si è guadagnato una reputazione di qualità, che gli ha meritato il premio di qualità dei mercati internazionali.
La costituzione di nuove varietà ha determinato un esponenziale incremento della produzione che è passata da 0,5 milioni di tonnellate al valore attuale dieci volte superiore. Negli ultimi anni sono state registrate varietà come AC Avonlea, migliore nel colore e nel contenuto proteico, e AC Navigator, varietà con glutine extra forte e con un colore ed una qualità molitoria superiore. Il successo sul mercato del grano duro canadese è strettamente connesso con il sistema di assicurazione di qualità gestito dalla Canadian Grain Commission, che fissa gli standard di qualità ed assicura che siano rigorosamente rispettati fino al caricamento dei lotti sulle navi. Tutto ciò assicura certezza di qualità al grano canadese. Il mantenimento anno dopo anno di rigidi parametri assicura una qualità costante negli anni per ciascuna classe di grano duro. (source) Il Canadian Wheat Board (CWB) è l’unico venditore del grano duro canadese. Gli agricoltori trasportano il loro raccolto presso gli elevators primari gestiti da privati, ma il grano una volta consegnato è di proprietà del CWB. Le “companies” di elevators applicano delle tariffe per la gestione del grano per conto del CWB. Il monopolio del CWB assicura un efficiente contrattazione, sul mercato, del grano duro canadese, nei migliori interessi di tutti gli agricoltori. Nella Borsa di Winnipeg, non c’è nessuna pubblica contrattazione per il grano duro destinato alla produzione di semolina. Il CWB stabilisce i prezzi sulla base della domanda mondiale di grano duro all’inizio dell’annata agraria (dal 1 agosto al 31 luglio), ed il Governo canadese garantisce il prezzo iniziale, anche nel caso ci sia un crollo dei prezzi. Nel caso vi sia un incremento dei prezzi, il CWB aggiusta i pagamenti e retroattivamente rimborsa i produttori che hanno precedentemente consegnato il loro raccolto. Questo sistema assicura una ordinata consegna del grano duro durante tutto l’anno indipendentemente dall’andamento del prezzo mondiale.
Il grano ma anche tutte le altre importanti derrate agricole del nostro paese dovrebbero essere protette e gestite da un organo centrale in grado di assicurare mercato e prezzi equi per i produttori, invece di lasciare questi ultimi come buoi smarriti alla mercé di pochi compratori senza scrupoli.