Almeno una volta all’anno c’è la “cena delle ragazze del cortile”.
Il cortile è quello del civico 49, un caseggiato popolare dove tutte noi abitavamo: un complesso di 3 edifici di altezze variabili, strutturati a forma di U e con il quarto lato cintato da un muretto basso. Allora era terreno di giochi, adesso è ridotto a parcheggio per le automobili, ed i bambini di oggi preferiscono restare in casa, attaccati alle play station.
Definirci ragazze è, per così dire, eufemistico: l’età varia dai quarantanove anni di Marcella ai sessantuno di sua sorella Bruna, le due promotrici dell’iniziativa. Come ogni anno, ci si ritrova in pizzeria dove si scherza e si chiacchiera a base di “ti ricordi quella volta..” e nessuna mancherebbe per nulla al mondo. Fatalmente si ritorna a parlare del sorvegliante zoppo che girava in bicicletta per i vari cortili delle case popolari ed invariabilmente bucava tutte le palle con le quali giocavamo, in quanto era severamente vietato usarle per paura che qualcuno rompesse i vetri delle finestre. Questo magari poteva essere valido per i maschietti che giocavano a calcio con i palloni di cuoio, sognando di diventare come gli idoli sportivi di allora, ma noi ragazzine adoperavamo palle di gomma variopinte e piuttosto leggere ed i nostri giochi non erano mai turbolenti.
Poi ci sono i ricordi di quando le più piccole si divertivano ad infastidire le più grandicelle che ormai flirtavano con i primi ragazzini, sbaciucchiandosi nell’androne delle scale…e giù risate, ripensando a quei giorni.
Inevitabilmente si ricreano i gruppetti per età anagrafica: quasi sempre mi ritrovo seduta accanto alle mie coetanee, ad Elena, che era pure in classe assieme a me, ed a Nadia, mia compagna di giochi di sempre, che da bambina sognava di fare la parrucchiera, ed invece è diventata responsabile del personale di un grande magazzino, Nadia che è diventata mamma all’età in cui io invece diventavo nonna. Durante la cena, ci si scambiano le fotografie di figli e nipoti che ognuna di noi conserva nella memoria del cellulare, e la mia amica d’infanzia mi mostra la foto della sua ragazzina, poco più di sette anni, bellissima, bionda e, purtroppo, cieca. Non completamente, perché vede un mondo di ombre sfocate e grigie, ma le è comunque preclusa la possibilità di godere delle bellezze della natura e, soprattutto, della vista dei visi di sua madre, suo padre e di chi le vuole bene.
E mi spunta un pensiero triste: cosa sognano, allora, le bambine cieche?.