Magazine Diario personale

I still think 1990 was 10 years ago.

Da Tofina
I still think 1990 was 10 years ago.
Pensavo a quando avevo più o meno l'età dei miei alunni, forse qualcuno in più. Pensavo a quelle piccole emozioni che loro forse oggi non vivranno mai.
Nessun cellulare, solo il telefono di casa. Quel piccolo brivido mentre componi il numero e aspetti: tuuuuuuu...tuuuuuuuu...risponderà lui? Risponderà sua madre? Non t'incartare, non fare figure di mer.... "Pronto buongiorno sono Arianna, posso parlare con G.?". Fiù, andata!
Pomeriggi passati ad inseguire, pedinare, appostate su una panchina, dietro un cespuglio, per scoprire un nome. E scoprirlo sbagliato: quello che era secondo nella tua lista dei preferiti non si è proprio mai chiamato Andrea, ma Tommaso. Vederlo con una e smuovere amiche, compagni di classe, parenti per cercare di capire chi fosse quella. Ora basta andare su fb, cercare tra gli amici degli amici, sbirciare tra le foto.

La sera mettersi alla scrivania. Prendere il cd con il libretto dei testi. Prendere il dizionario di inglese e tradurre. Tradurre canzoni su canzoni, senza usare google translator o quei siti in cui trovi testo e traduzione a fronte. Rimanere delusi nello scoprire che quella così bella in realtà è una cagata pazzesca. Emozionarsi di fronte a "Juliet when we made love you use to cry...".Scrivere. Non con la tastiera, davanti ad uno schermo, col touchscreen di un cellulare, sulla bacheca di qualche profilo. Scrivere con la penna, su un foglio. Mai in nero, sempre in blu, possibilmente penna stilografica. I fogli bianchi non mi piacevano, preferivo i quadretti piccoli, raramente le righe. Pagine di quaderno, block-notes, scontrini... Ho scritto lettere, biglietti, pensieri. Ho scritto bugie, sentimenti, paure, sfoghi. Ho scritto ad amiche, ad amori, a mio fratello e a mia madre. Ho scritto a chi era sia un amico che un amore, e lui lo sa. Qualcuno invece in tutti questi anni neanche l'ha mai saputo. E poi l'emozione di consegnare quelle righe, nasconderle nell'astuccio, nella tasca della giacca, passarsele veloce all'intervallo, tra le pagine di un libro. Vedersi al semaforo, "Passa a casa mia dopo cena che devo darti una cosa. Guarda che piove, portati l'ombrello". Le mani che si sfiorano mentre si passano quel foglio, gli sguardi.E poi fare le foto in gita. Praticamente solo in gita o al compleanno. Nessuna digitale, nessun "Cancella che in questa sono venuta male", nessun album su facebook un'ora dopo essere tornati a casa.Usa e getta comprata all'autogrill, 24 scatti. Tornare, portarla a sviluppare e mandare tuo papà dal fotografo a ritirare tutto. Controllare con lui come sono venute e partire dalle ultime, proprio quelle che i tuoi compagni hanno scattato mentre tu dormivi, immortalando i propri culi nudi e la televisione che trasmetteva un film porno.


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