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I ♥ Telefilm "Halloween Edition": American Horror Story, Hostages, Witches of East End

Creato il 01 novembre 2013 da Mik_94
Buongiorno a tutti, cari amici. Com'è che si dice? Casa dolce casa: proprio vero. Oggi, dopo due settimane, mi sono svegliato nel mio letto, ho fatto colazione nella mia cucina e ho scritto questo breve post con il preziosissimo aiuto della mia vecchia ed efficace connessione. Come avete passato Halloween? Spero vi siate divertiti. Io, come vi raccontavo giusto ieri sulla mia pagina Facebook, sono sceso dal treno che erano ormai le 20:30 e, stanchissimo, dopo una bella cena, mi sono visto in streaming la prima puntata di X-Factor (tizi di Sky che avete annullato le repliche su Cielo: vi odio). Anche se con un giorno di ritardo, sperando di essere comunque in tema, oggi voglio proporvi un nuovo appuntamento di I Love Telefilm dedicato a tre recenti serie “da brivido” o, comunque, inscenate su inquietanti sfondi decisamente paranormali. American Horror Story, be', è una splendida conferma. Hostages è la grande sorpresa di quest'anno. Witches of East End è carino e poco più: sono indeciso se proseguire o meno, anche se vi ho giurato che finirò di vedere almeno la prima stagione. Augurandovi buona lettura – e buona visione – scappo via: ho un mare di serie TV da recuperare. Che dramma... potrei impiegarci quasi tutta la vita! Un abbraccio forte, M. 
Tremate, tremate: le Streghe son tornate. Tremate, tremate: American Horror Story è tornato. Parlo a nome di quegli spettatori che lo aspettavano, ormai, da quasi un anno. Dopo una prima serie imprevista ed imprevedibile ed una seconda ancora più matura e inquietante, Ryan Murphy – insospettabile e allegro creatore dell'allegrissimo Glee – mantenendo la promessa fatta nello scorso finale di stagione, è tornato, a poche settimane da Halloween, con un nuovo incubo interamente inscenato su un nuovo sfondo da incubo. Siamo nella bella New Orleans, tra turisti curiosi, superstizioni antichissime e accademie da brivido. Siamo nella terra incontaminata delle streghe moderne. Ancora una volta, dimenticate nasi prominenti, pustole e rughe disgustose; cancellate dalla vostra mente calderoni, corvi gracchianti, bacchette magiche. Coven – letteralmente, “congrega” - è un'elettrizzante, provocatoria, dissacrante e mostruosa novità. Mostruosa, sì: perché, ancora una volta, Ryan Murphy, reduce dai numerosi taglia e cuci di Nip & Tuck, festoso e pieno di idee, come uno scolaretto in un obitorio spettrale, riesce a prendere un pezzo lì e un pezzo qui delle sue numerose vittime e a fare della sua nuova serie TV un Frankenstein pieno di cicatrici, ammaccature e sentimenti. A citazioni del più intrambontabile dei racconti neri ideati da Mary Shelley e alla violenza a cui ci hanno, col tempo, abituati, sceneggiatori e registi aggiungono quello che mancava nelle precedenti stagioni: lo spirito instabile e volitivo dell'adolescenza e un po' di sana, letale, tragica ironia. Questo terzo capito di American Horror Story è una creatura contro natura che incarna alla perfezione lo spirito contraddittorio, splendido e abominevole di un determinato angolo d'America. Il più buio, forse. Ma anche il più ricco di fascino. American Horror Story è, mai come in questo caso, figlio illegittimo di New Orleans. A differenza di molte altre serie, quella ideata da Murphy non sembra un prodotto televisivo. No. I cambi di sequenza e le inquadrature, specialmente nel pilot, sarebbero pienamente degne di apparire in uno dei miei manuali di storia del cinema: magistrali, originali, perfetti. Inoltre, Murphy ha una squadra che nessun altro show televisivo potrebbe permettersi. Una squadra fatta di giocatori dai ruoli mutevoli e bizzarri, ma che – protagonisti o ridotti a semplici comparse – risultano semplicemente dei fuori classe, sempre e comunque. Talenti inarrestabili. Dopo l'abbandono della seconda serie, la deliziosa Taissa Farmiga – ancora più bella e convincente del solito – ritorna, alla scoperta della sua bravura attoriale e dei suoi poteri nascosti. Lei interpreta la fragile Zoe: una ragazza che paga l'amore con la morte degli altri. Stare con lei, anche solo per una notte, è letale. La sua maledizione la perseguita, ma ha trovato il suo posto nel mondo. In una magione sontuosa e abitata interamente da personaggi femminili, una sorta di Hogwarts vietata ai minori, lei può sentirsi a casa. A casa, ma non al sicuro. In questo ambiente regnano l'inganno, la gelosia, la spietata competizione tra donne. A detenere il potere è la Suprema: quel mostro affascinante e senza età che ha lo charme ipnotico di una meravigliosa Jessica Lange. Una strega che non vuole accettare l'arrivo della vecchiaia. Una regina che non vuole tollerare nessun usurpatore. Intorno a lei, oltre all'inconsapevole Taissa, ruotano le presenze della superba e cinica Emma Roberts (che, con le sue gonne corte e le sue gambe lunghissime, dà un tocco di stronzaggine a quell'adolescenza incantata), l'immensa Sarah Paulson, e nuove e vecchie conoscenze che tutti adoriamo già. Stupefacente la reale new entry del cast, una signora attrice che non ha bisogno di presentazioni e parole: Kathy Bates. Più crudele di Misery, più sanguinaria della leggendaria Elizabeth Bathory, la nostra Kathy – districandosi tra torture ai danni dei suoi schiavi e gigantesche sottane – è Madame Delphine LaLaurie. Una donna realmente esistita che, a lungo, ha giocato a fare Dio. Be', la Bates è una specie di Dio: chi meglio di lei poteva riportarla in vita? Vederla recitare insieme alla Lange è una goduria indescrivibile. Sono due mattatrici, due stelle lontane anni luce dal resto del mondo. Recitano così, con la stessa naturalezza e fluidità di un fiume che scorre. Immancabile il solito gusto pulp e noir, immancabili le classiche trovate decisamente sopra le righe e così spassosamente esagerate. Immancabile la presenza di un amore impossibile, che fa fare grandi sogni e grandi incubi. A grande richiesta di molti, l'ottimo Evan Peters – ritornato biondo e adolescente – nuovamente in coppia con la nostra Taissa. Lei, una strega; lui, la sua ultima vittima. Una diciassettenne e il ragazzo che, sfortunatamente, ha ammazzato al primo appuntamento.... Gli episodi visti, forse, sono ancora pochi per dare un giudizio complessivo, ma niente: io già lo amo e - lo so - continuerò a farlo fino alla fine. Che le streghe vengano a punirmi, se succede altrimenti. Tremo all'idea. Il thriller è un genere che adoro. Uno, forse, dei generi più difficili con cui rapportarsi, ma anche il più immediato e coinvolgente in assoluto. Ci sono thriller e thriller, però: questo sì. I tipici gialli, i noir dei bei tempi andati e poi quei thriller a sfondo polito alla The Interpreter, per capirci, che proprio non mi dicono nulla. Sono troppo complessi, tirati troppo per le lunghe e per me, che di politica capisco lo stretto indispensabile, troppo noiosi. Inizialmente, guardando gli spot televisivi e leggendo le prime presentazioni, pensavo, a malincuore, che Hostages facesse parte di questa odiosa categoria. La nuova serie prodotta dal grande Jerry Bruckheimer e in onda sulla CBS dal 23 Settembre, m'ispirava e non m'ispirava. Volevo provarla, ma ero quasi certo che non l'avrei seguita più. Poco male! Un telefilm in meno da seguire e da spuntare su una lunga, lunghissima lista. Invece, sin dal pilot, Hostages mi ha fatto suo. Mi ha catturato. Mi ha preso in ostaggio con la forza. E' un lucido e solido mix di poliziesco e dramma familiare, con piccole e piacevoli parentesi aperte sul mondo dell'attualità e della politica americana. Si tratta, però, appena di parentesi; di dettagli per dar sapore e verosimiglianza alla vicenda. Il resto è tensione e patos allo stato puro. Si assiste alle vicende della famiglia Sanders, inizialmente, poco convinti: è evidente che una storia del genere non possa essere tirata per le lunghe. E' buona per un film di 90 minuti, non per una stagione con ben 13 episodi. Eppure, il sequestro di Ellen Sanders, di suo marito e dei suoi figli adolescenti riserva parecchi colpi di scena, parecchie svolte interessanti e non poche sorprese. Quando una serie è ben scritta, come in questo caso, non ci sono momenti di stasi. Non ci sono intoppi. Tutto sta nella validità della sceneggiatura, che sa dilatare la tensione e – allo stesso tempo – mantenerla vivissima – e nella gestione di un cast con la c maiuscola in cui, su tutti, dominano i due protagonisti: Dylan McDermott e Toni Collette. Lui, così torvo e ammaliante, è un insospettabile rapitore con le fattezze dell'attore visto e rivisto nelle prime due stagioni di American Horror Story. E' bravo nel gestire le esigenze dei suoi prigionieri, a sfruttare le loro debolezze e i loro bisogni: questo perché, a lungo, è stato dall'altra parte. Da negoziatore, per cause che ancora non conosciamo, è sceso a patti con il crimine, diventando la mente di un gruppo di brillanti e umani criminali. Insieme, armati ma senza maschere, tengono in scacco la famiglia della dottoressa Sanders, sulla quale ricade il grande privilegio e la grande responsabilità di operare il Presidente degli Stati Uniti in persona. Il compito di lei è salvarlo, quello dei suoi rapitori – invece – è l'opposto: vogliono che il Primo Cittadino americano sia ucciso durante l'operazione. Se la dottoressa non seguirà i loro folli ordini, ad avere la peggio sarà la sua famiglia. Questa donna – debole, coraggiosa, eroica e audace – è la bravissima Toni Collette: attrice che adoro dai tempi di United States of Tara e About a Boy. Hostages è, a mio parere, una delle novità più interessanti dei nuovi palinesti televisivi: non mi esaltavo così dalla prima serie di Revenge. E questo Hostages, tra l'altro, è fatto anche molto meglio. Da “provare”.
Jessica Lange e Kathy Bates sono in buona compagnia. Quei due mostri di attrici, infatti, non sono le uniche streghe d'America, in questo periodo. Accanto al loro Coven, quasi in contemporanea, è arrivato Witches of East End, telefilm tratto da una serie di romanzi fantasy di Melissa De La Cruz ed editi – in Italia – dalla nostra fidata e fedele Fanucci. Penso di aver colto nel segno anche senza vedere il pilot della serie. A pochi giorni dall'uscita, infatti, sulla pagina Facebook del blog, aveva già speso qualche parolina sull'argomento. La copertina – con quattro bellone che avevano fatto abuso di trucchi e Photoshop – era tutta un programma. E, dopo un paio di episodi visti, posso dire di non essermi troppo discostato dalla realtà dei fatti: Witches of East End è un po' il Pretty, Little, Liars del mondo paranormale. Simpatico, recitato appena discretamente, leggerissimo, tamarro quanto basta, trascurabile. La trama di base è, sinceramente, molto stuzzicante, ma la realizzazione lo è un po' meno. Un po' meno... tanto! La colpa è mia, che – nello stesso giorno – ho messo a confronto il pilot di questa nuova serie e quello dell'ormai affermato American Horror Story: il paragone è improponibile. Sarebbe, come si dice dalle mie parti, come confrontare la lana con la seta. Eppure, nonostante lo stampo sia che più televisivo non si può e il cast sia interamente popolato da tante belle che non ballano, ammetto che seguo Witches of East End alquanto volentieri, per il momento. Scaccia via i pensieri, mi fa sorridere, mi fa venire alla mente quel cult che è Steghe e i tristemente dimenticati Le Steghe di Eastwick e 666 Park Avenue – ma quanto mi piacevano quelle due sfortunate serie TV?! E poi, ad affiancare la sempre bella e giovanile Julia Ormond (Sabrina), c'è quello schianto di Jenna Dewan (Step Up; Tamara) che, con le sue curve ancora morbide e generose per la recente gravidanza, mi fa venire alla mente la fortuna sfacciata di quell'altro bellimbusto di Channing Tatum. Insomma, alla luce dei pochi episodi visti, non posso dirvi troppo su questo nuovo prodotto della Lifetime, ma – cadute di stile e difetti a parte – penso che, anche se con poca costanza, gli episodi previsti per la prima serie li vedrò tutti e dieci, promettendo di tenervi aggiornati. Voi non preoccupatevi, ho la resistenza di un leone: sono quattro anni che mi sorbisco le idiozie delle oche giulive che starnazzano in Pretty Little Liars. Non sarà queste seducente famiglia di giovani streghe a farmi gettare la spugna

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