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I ♥ Telefilm: How To Get Away With Murder, Mozart in The Jungle, Red Band Society
Creato il 02 marzo 2015 da Mik_94La scorsa estate i miei incubi andavano al ritmo di musica classica. Ho preparato l'esame di Storia della musica e, sarà che andava dal Madrigale a Miley Cyrus, sarà che le note so leggerle a stento e che quegli spartiti indecifrabili mi facevano venire la strizza, alla fine di quel tormento c'ho messo sopra una pietra. Una croce. Avevo detto addio a quel mondo, come quando le cose che fai a forza, malvolentieri, ti smuovono i succhi gastrici e la noia, ma non la passione. Avevo studiato e non ci avevo messo interesse. Ma a me piacciono il dramma in musica, il teatro, l'orchestra, i backstage. E una delle cose che più mi emoziona al mondo è il suono che fanno in coro tutti gli strumenti mentre vengono accordati, prima dell'apertura del sipario. Sono ritornato sui miei passi, superato il trauma da sessione estiva e, per fortuna, ho voluto concedere un'occhiata al pilot della nuova serie targata Amazon: Mozart in the jungle. Questa è un'altra storia. Tutt'altro che ingessata e seriosa; mai sonnolenta. Alcuni episodi sono dei gioielli, altri servono oggettivamente ad allungare il brodo, ma il livello è alto e il trinomio "sesso, droga e Mozart” vi darà alla testa. La trama: all'alba di uno spettacolo importantissimo, la Filarmonica di New York è messa a soqquadro dall'arrivo di un nuovo direttore d'orchestra. Capello lungo, completi spaiati, idee bizzarre. Un nome che tutti conosceranno: Rodrigo. Interpretato con vigore da Gael Garcìa Bernal, porterà una ventata di gioventù e colore in un ambiente polveroso. Nel frattempo, trascinerà al centro del palcoscenico l'insicura Hailey, tenterà di conquistare una moglie geniale e pazza e proverà a rimpiazzare il vecchio “maestro” senza fargli pesare troppo il suo pensionamento, mentre la direttrice rischia un crollo nervoso e la musica, come nel bellissimo Tutto può cambiare, si fa anche per strada. Accanto al pupillo di Almodòvar, Gondry ed Inarritu, un granitico Malcom McDowell – e guai a ricordargli che sta invecchiando -, la sexy Saffron Burrows e Bernadette Peters, quasi settant'anni e non mostrarli, una voce squillante e un nome che a Broadway è leggenda. Diretto per gran parte dei suoi dieci episodi dal Chris Weitz di About a boy e American Pie – okay, ha girato anche New Moon: doveva rimettere il parquet in soggiorno o tinteggiare il bagno, che vi devo dire? -, Mozart in the jungle ha autorialità e brio, l'immagine di una New York glamour e personalissima che potrebbe rimpiazzare a tempo debito quella del noto Sex & The City, una colonna sonora da manuale. La musica classica non è mai stata così rock 'n roll. L'esaltante Whiplash ha fatto appassionare i profani alle misteriose magie del jazz; questo – scapigliato, ribelle, un po' figlio dei fiori – farà lo stesso con la musica sinfonica. (7)
Red Band Society aveva la strada già spianata. Gli spettatori di Colpa delle stelle, abituati a tante lacrime e alle risate che scoppiano in faccia al cancro. La firma di Steven Spielberg, che coi telefilm non ha in verità molto successo. Una schiera già fitta di fan ed estimatori, non essendo proprio una novità: Red Band Society è Braccialetti Rossi. C'è in Spagna, c'è in Italia; gli americani potevano farsi mancare la versione a stelle e strisce? Ma Red Band Society è arrivato senza il trambusto sperato e, con altrettanto silenzio, è andato via. Cancellato dopo tredici episodi. Mi giurano che sia mille volte meglio la serie italiana, perciò figuriamoci, ma comunque non non dispiace. In molti lamentano i rapporti di convenienza, i legami passeggeri e le amicizie non del tutto disinteressate che si instaurano tra i giovani personaggi. Viene meno la bontà e la fratellanza di cui tutti andavano in cerca, ma quella vena politicamente scorretta ogni tanto mi è garbata. Una storia alla libro Cuore, quando il telefilm è già di per sé gigione, non l'avrei retta. Non ci si annoia, l'andamento è costante – e se piace dall'inizio, come nel mio caso, è un bene, altrimenti anche no – e gli attori, freschi e svegli, benchè coinvolti in una serie non destinata al decollo ma al tracollo, si sono fatti notare, ottenendo un trampolino di lancio notevole. La voce narrante di un bambino in coma guida lo spettatore fino alla fine e ci fa conoscere i personaggi principali, nei momenti costruttivi e in quelli distruttivi. Ci si affeziona a Leo, la mascotte del gruppo: neanche un capello in testa, un arto mancante e il volto del bravo Charlie Rowe. Zoe Levin, vista in Palo Alto, è un paradosso: una ragazza meschina, senza cuore, che in realtà ha un cuore più grande del normale e quello è il guaio. Acida e insensibile, avrà la sua mezza redenzione grazie al personaggio di Darek Kagasoff – odioso ed odiato protagonista di Vita segreta di una teenager americana – che non solo qui è tollerabile, ma in uno degli ultimi episodi – grazie a una svolta toccante – strappa pure una lacrimuccia. Simpatico e sfortunato il Jordi di Nolan Sotillo, adolescente in cerca dell'emancipazione; irritante come pochi personaggi, invece, Emma, ragazza che non mangia e non suscita empatia. Mentre c'è che va e chi viene, chi muore e chi torna a casa sulle proprie gambe, in corsia spazio anche per le storie e gli amori del personale ospedaliero: l'infermiera amareggiata di un'ottima Octavia Spencer; il fascinoso dottore di Dave Annable, col capello sale e pepe del Clooney di E.R e qualche lezione di recitazione presa da quando faceva (male) 666 Park Avenue. Lontani dall'andamento convincente del pilot – divertente, emozionante, sincero – gli ultimi episodi, che potevano essere riscritti per mettere un punto a questa storia non riuscitissima, ma godibile, e invece no. Ho imparato i nomi dei personaggi, ho sorvolato sui loro difetti, ma non chiedetemi adesso se il gioco sia valso la candela: francamente, non saprei. (6)
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