Under The Dome era una di quelle serie che aveva tutti i presupposti per diventare la più interessante ed originale dell'anno. Effetti speciali più che dignitosi, un cast variegato che univa volti noti a volti meno noti, un plot che era un intrigante incrocio tra X-Files e Lost, un autore straordinario su cui fare affidamento: il fantasmagorico Stephen King. Il romanzo da cui è stata tratta questa serie venne pubblicato in un periodo in cui io e il Re eravamo in crisi: cose che capitano anche alle coppie più unite! Era arrivato a deludermi spesso e quindi guardavo con un certo timore le mille pagine e oltre del romanzo, l'ennesimo mattoncino portato qui da noi dalla fedele Sperling & Kupfer. Dopo la lettura del meraviglioso 22/11/63 e del nostalgico e toccante Joyland, io e zio Steve siamo tornati ad essere amici come prima. Potevo mai perdermi l'ennesimo telefilm tratto da una delle sue creaturine? L'ho visto dall'inizio alla fine, ma se io sono stato costante e puntuale come un orologio svizzero – e ogni settimana, quindi, ero lì al pc a guardare un nuovo episodio – la serie TV lo è stata decisamente meno. Il pilot l'ho trovato splendido, sensazionale, con la giusta dose di violenza, azione e dramma. Come nel caso di The Following, tuttavia, andando avanti, si perde parte del mistero e parte dell'interesse. Under the Dome non mi ha conquistato e sono arrivato a vedere il dimenticabile e poco efficace season finale spinto più dall'abitudine che dalla curiosità. Una volta isolati gli abitanti di questa “ridente” cittadina sotto una cupola infrangibile, intrighi e scandali rubano il posto alla fantascienza e all'orrore. E, in ogni episodio, si scopre che Chester's Mill è tutt'altro che ridente come appare dall'esterno. Scoppiano rivalità e tensioni, amori e ossessioni, ma, per quanto siano credibili gli attori, non tutte le storie dei personaggi catturano l'attenzione. Mentre il Mike Vogel di Bates Motel sventa istituzioni criminali e conquista il cuore della bellissima Rachelle Lefevre, la rossa vampira di The Twilight Saga, sfidando a spada tratta il Don Rodrigo del paese – Big Jim, coinvolge particolarmente la sottotrama che vede come protagonisti assoluti i più giovani della squadra. Non tutti convincono, ma sono belli, affiatati, simpatici e sembrano rubati – con le loro visioni e i loro poteri – da uno di quei romanzi young adult/ urban fantasy che tanto ci piacciono: Britt Robertson (The Secret Circle, Life Unexpected), Alexander Koch (Underemployed), Colin Ford (Supernatural), Mackenzie Litz (Hunger Games). Sperando che con la seconda serie arrivi tutto ciò che nella prima mi è mancato, confido di comprare presto il romanzo e, soprattutto, di dare una seconda possibilità al telefilm. Gli ingredienti giusti ci sono tutti, ma manca uno chef che sappia come valorizzarli a dovere. Sono quattro anni che guardo Pretty Little Liars – meglio conosciuto come l'allegra fiera del trash – quindi, secondo voi, volterò proprio adesso le spalle al Re? Il nuovo bambino di Stephen King è “intelligente, ma non si applica”. Chissà cosa ne penserà il suo papà...
Quest'estate, durante il periodo della maturità, cercavo sul web una serie che potesse rilassarmi a dovere. Ero troppo stanco per uscire la sera, ero troppo stanco per leggere libri impegnativi ed ero troppo, troppo stanco per guardare telefilm che richiedessero la partecipazione attiva e la viva attenzione dello spettatore. Come una sorta di diligente addetto ai lavori, ho visionato più pilot ma, tra delusioni e noia, alla fine se n'è salvato solo uno: quello di questo frizzante e grazioso Devious Maids, che, giusto in settimana, è giunto in America all'ultimo episodio. Impossibile non cogliere il parallelismo tra queste novelle ambigue domestiche e le più note casalinghe disperate. I creatori sono gli stessi, come lo è anche il target. Se, al contrario mio, avete seguito qualche stagione di Desperate Housewives su Lifetime, allora capirete benissimo cosa intendo. E se è quello che state cercando, be', non posso che consigliarvi questo simpatico telefilm. L'ho trovato carinissimo, dall'inizio alla fine. Non mi ha deluso, perché non mi aspettavo praticamente niente. Non mi ha annoiato perché, tra misteri e scandali, le cinque e affascinanti domestiche portoricane hanno saputo mantenere vivissima la mia attenzione. Il sentiero della soap è giusto dietro l'angolo, ma Devious Maids non lo imbocca mai completamente. Sarà che gliene frega pochissimo di cercare nuove vie e di conquistare i critici più severi ed esigenti. Mi è piaciuto per questo. E' rimasto onesto, leggero, fedele a sé stesso e ai gusti degli spettatori, comodamente seduti in poltrona, fino alla non definitiva conclusione. Mi ha fatto fare parecchie risate e quei piccoli e banali colpi di scena, di tanto in tanto, mi hanno sorpreso, quasi come se di gialli non ne sapessi granché. Mi ha ricordato l'epoca in cui, in TV, davano l'esilarante Ugly Betty, storia della bruttina più simpatica dei palinsesti Mediaset, che si era fatta voler tanto bene sin dall'episodio pilota. Devious Maids è ambientato nelle case dei ricchi, tra piscine limpidissime, feste raffinate, vestiti firmati, adulteri e segreti. Si apre con un omicidio a sangue freddo. La vittima è la giovane e conturbante Flora, una domestica uccisa da uno dei suoi numerosi amanti durante un party. La polizia, convinta di aver trovato il colpevole, ha chiuso in carcere un giovane cameriere, che, da dietro le sbarre, urla la propria innocenza. Solo sua madre, una professoressa universitaria di origine spagnole, gli crede: certe cose i genitori le sentono. E da insegnante a domestica sotto copertura il passo è breve. Con una nuova identità, Marisol (Ana Ortiz: Ugly Betty) si intrufola – armata di grembiule, divisa e spazzolone – nelle vite di persone al di sopra di ogni sospetto, scoprendo gli scheletri nell'armadio di chi vorrebbe metterla a tacere e diventando amica di quattro domestiche a cui non può rivelare la verità: la bella Carmen (Roselyn Sanchez: Senza Traccia), che vuole diventare una cantate alla Jennifer Lopez; Zoila (Judy Reyes: Scrubs), la cui figlia adolescente è perdutamente innamorata del ragazzo per cui entrambe lavorano; Rosie (Dania Ramirez: American Pie – Ancora insieme), una giovane vedova che, con un figlio al di là del confine messicano, ricomincia a vivere grazie al suo gentile e fascinoso datore di lavoro. Una schiera di attrici brave, sorridenti e in gamba, dall'orecchiabilissimo accento spagnolo, che recitano a contatto con ottimi comprimari: l'algida, cinica e sorprende Rebecca Wisocky (The Mentalist) e, tra gli altri, il viscido Tom Irwin (Saving Grace) e l'insospettabile e familiare Stephen Collins (Settimo cielo). Con domestiche di questo calibro in giro nessun segreto è al sicuro! Se voi volete scoprire i loro, in veste di complici o spettatori, non posso che consigliarvi questa intrigante, pepata e adorabile serie americana. Quel pizzico di cinismo vi solleticherà i palati e la curiosità e, davanti a qualche trovatella un po' tamarra, chiuderete volentieri un occhio. L'anno prossimo non mi perderò di sicuro la seconda stagione, già ve lo dico. Un The Help in salsa latina, con manciate abbondanti di Desperate Housewives: la prima stagione sarà trasmessa da noi a partire dal 9 Ottobre.
Sarah: una ragazza madre con un brutto passato alle spalle, un compagno violento, una figlia lontana, nemici ad ogni angolo di strada. Elizabeth: una detective con una misteriosa vita privata, un matrimonio pieno di segreti, una colpa traumatica da scontare. Cosima: studentessa, hacker, scienziato, genio. Alison: la casalinga perfetta, la mamma perfetta, la perfetta vicina di casa. Helena: capelli ossigenati, occhi vacui, una mente confusa, cicatrici sanguinanti che formano ali di graffi e lividi dietro la sua schiena. Cosa hanno in comune queste donne? Hanno la stessa età, hanno gli stessi geni, hanno lo stesso viso. Sono identiche, sono cloni. Vivono vite diverse, sembrano aver ignorato a lungo la loro reciproca esistenza, abitano in città distanti. E qualcuno vuole ucciderle: tutte. Le loro esistenze, in Orphan Black, si intrecciano tra misteri, delitti ed equivoci. Lo stesso Orphan Black, che è decisamente una delle serie più belle che siano state girate in questo 2013. Imprevedibile, imprevisto, originale, pauroso, forte, architettato da menti superiori. Ma, in 45 minuti ad episodio, si scopre anche divertente e, a tratti, passionale. La storia, all'inizio, ricorderà in maniera preoccupante quella di Ringer e The Lying Game. Voi dimenticateli. Non sono nulla, se confrontati con questo superbo e contagioso intrattenimento. In due giorni, la scorsa estate, ho visto tutti gli episodi della prima stagione. Perché quando una cosa è così – ben scritta, ben diretta e recitata ancora meglio – non basta guardarla. E' necessario divorarla tutta d'un fiato. Questo è il telefilm, non un telefilm. Un taglio cinematografico, una trama che non regala nessun momento di noia gratuita, una sfilza di scene velocissime e memorabili, perfette eppure così poco americane, anche se la fattura è ottima e a dir poco hollywoodiana. La serie è stata prodotta in Canada e non ha nulla da invidiare alle statunitensi, spesso inutili e scadenti perdite di tempo. E' favolosa. Soprattutto, è favolosa la protagonista, che – quasi sconosciuta – interpreta una miriada di ruoli diversi con una bravura sorprendente e fuori dall'ordinario. La domanda sorge spontanea: dove diavolo è stata nascosta Tatiana Maslany per tutto questo tempo?! E' bellissima, è giovanissima e vederla recitare senza doppiaggi aggiunti, ma in lingua originale, è un spettacolo inenarrabile. Non solo perché è espressiva e convincente in ogni ruolo, ma perché, per ogni ruolo, sfoggia un accento diverso: inglese, americano, russo. Credo sia un extraterrestre, e io ho scoperto la sua vera identità. Non ci sono altre spiegazioni. Insieme a lei, la morte sempre più vicina, un amico gay esilarante e unico, un marito che sotto il cuscino nasconde pistola e segreti mortali... L'ultimo episodio è esaltante, frenetico, semplicemente da fiato sospeso. Come l'intera serie. Guardatela e basta. Io, per una volta, non dico più niente.Shhh...