di Elio Perrone
Il legame perverso tra i deficit della giustizia civile ed il mancato sviluppo è al centro dell’attenzione delle istituzioni politiche ed economiche, italiane ed europee. Mario Draghi ha affermato che “la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere ad un punto percentuale” (assemblea Banca Centrale Europea del 2011). Il Consiglio dell’Unione europea ha rilevato che “la lunghezza delle procedure… rappresenta un ulteriore punto debole del contesto imprenditoriale italiano” (raccomandazione sul programma nazionale 2011 dell’Italia). Infine nella relazione inaugurale dell’anno giudiziario 2012, il Ministro della Giustizia Severino (si era insediato da pochi mesi) afferma che “restituire efficienza alla giustizia civile è il vero obiettivo che dobbiamo perseguire”. Era stato introdotto da poco l’istituto della mediazione (Decreto legislativo 28/10) e, dopo un anno, la mediazione era stata resa obbligatoria (Legge n. 10/11).
È nota la sentenza della Corte Costituzionale del 26.10.12 che ha dichiarato l’illegittimità dell’obbligatorietà della mediazione. Intervistata da Dino Martirano (Corriere della Sera 27.4.2013), la Severino ha asserito: “si dovrebbe tornare alla mediazione obbligatoria”. Evidentemente riconoscendo la modesta capacità di conseguire la massimizzazione dell’efficienza della giustizia civile da parte delle innovazioni in materia di giudizi di appello e di Cassazione (Decreto Legislativo n. 83/12). È anche nota la riproposizione, non più automaticamente obbligatoria, della mediazione attraverso il decreto cosiddetto “del fare”, da parte del Governo ora in carica.
L’obiettivo che si continua a perseguire è di deflazionare l’insostenibile carico dei processi civili. E si continua a dare particolare importanza al tentativo di reintrodurre la mediazione. La quale però ha dato, finora, risultati deludenti, avendo intercettato soltanto alcune decine di migliaia di cause, rispetto al milione annunciato.
Da quanto fin qui scritto, risulta all’evidenza che la crisi, anzi la negazione della giustizia civile è determinata soprattutto dalla irragionevole durata del processo civile; che contraddice i principi costituzionali sui diritti di azione e di difesa (art. 24 della Costituzione, sulla ragionevole durata del processo (art. 111 della Costituzione), sul buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 della Costituzione), sul contraddittorio tra le parti e sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (citato art. 111).
Prendiamo il caso di Lecce. Il Presidente della Corte ha ricordato (ved. relazione d’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013) che la durata media dei giudizi civili innanzi a quella Corte è stata di gg. 806 rispetto ai 691 dell’anno precedente. Così anche per il numero della cause sopravvenute, che è stato superiore a quello del precedente periodo. I dati relativi alle circoscrizioni giudiziarie sono anch’essi significativi dell’inefficienza della macchina giudiziaria. Sembra che le innovazioni sopra menzionate, non abbiano conferito alcun giovamento alla malattia grave di cui è affetta la giustizia civile. Invece di migliorare è peggiorata. Ed investe l’andamento generale della giustizia, atteso che la governance della giustizia civile costituisce, sul piano economico e scientifico, l’archetipo ed il termine di riferimento degli altri modelli processuali. Per espressa previsione legislativa, infatti, la disciplina del processo civile costituisce espressione di “principi generali”: nella delega per il riassetto del processo amministrativo, di cui alla Legge n. 69/09, è scritto che le disposizioni delegate dovevano essere coordinate con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali. Analoghe disposizioni sono state emanate per i processi tributario e contabile.
Sono del parere che la frenesia legislativa abbia nuociuto alla giustizia civile. L’efficienza è figlia della condivisione. È il risultato della collaborazione tra giudici, avvocati, personale di cancelleria. Nuoce alla giustizia civile l’abuso del processo, nei cui confronti la disciplina della responsabilità aggravata (citata Legge 69/09) e le previsioni del codice deontologico si sono rivelati strumenti d’intervento non sufficienti. La riforma della professione forense poteva essere un’occasione da cogliere per ripensare strumenti più idonei.
Molto importante, per concludere, è stata la riforma del n. 5 dell’art. 360 del Codice di procedura civile che restituisce alla Suprema Corte di Cassazione il ruolo di giudice di legittimità, sottraendogli quello che la trasformava in giudice di merito di terzo grado attraverso l’esame dell’impugnazione per vizio di motivazione. Ed è molto importante pensare di unificare l’esame di Stato per avvocati e magistrati. È l’unico modo per tentare con successo di conseguire la condivisione, madre dell’efficienza (come sopra detto), attraverso il riconoscimento di un’uguale dignità tra i principali operatori della Giustizia.
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