19 MARZO, FESTA DEL PAPÀ
Forse Isabelle ti salterebbe addosso nello stesso modo, scrutare dalla finestra, non darti il tempo nemmeno di sbottonarti la giacca, arrivare come uno scroscio, un applauso, sempre: farti eroe.
Anche se tu arrivassi col viso chino, il nervoso, i toni duri dell’ufficio.
Ti chiamerebbe, da un capo all’altro della casa: “Papàààà!”, anche se tu non corressi subito, se restassi affogato, intontito, nel mac.
Forse mangerebbe allo stesso modo, seduta a tavola con me, se tu restassi al lavoro fino a tardi. Dormirebbe la notte, si sveglierebbe al mattino e inizierebbe la sua processione dai cereali alla tv nella sua stessa, identica maniera.
Patrick trascorrerebbe ore intere a scrivere le sue storie, riempirebbe quaderni grandi anche se fossi io e non tu, a comprarli.
T’inseguirebbe, interrompendoci un’altra volta, per leggerti i suoi racconti anche se tu fossi distratto, preso da altro, occupato.
E Sarah? Sarah si lascerebbe coccolare, la sera prima di dormire, dalle mie braccia esili, bisbiglierebbe ancora: “Preferisco quando mi coccola il papà, perché lui è più forte.” Così direbbe, son certa, anche se tu le riservassi un bacio rapido. Le basterebbero i tuoi muscoli, quel corpo alto, il suo nascente complesso di Elettra.
Tutto sommato, sono quasi sicura, tutti e tre i tuoi figli ti amerebbero, anche se fossi un duro, anche fossi un tuonare frequente, un guizzo raro di gioia, un prepotente. Svogliato, pigro. Perfino stronzo.
L’amore dei bambini è l’illogicità di un bisogno. È grossolano, prende quello che arriva.
Forse ce la faremmo, in qualche modo, comunque.
Però saresti soltanto un padre. E loro sarebbero figli qualunque.
Quando sarà passata l’era idilliaca della venerazione, non conterà quanto eri l’idolo dei tuoi figli. Conterà che siano figli “tuoi” e, tu, il loro “papà”.