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I tuoi occhi come stelle

Creato il 04 dicembre 2011 da Oblioilblog @oblioilblog

I tuoi occhi come stelle

È giusto che sappiate cosa mi spinse a compiere tale gesto.

Accadde pochi anni fa, una sera di ottobre credo, o poco dopo se in errore. Nevicava, questo lo ricordo bene perché era abbastanza insolito dalle nostre parti, il che mi stuzzicò la fantasia rendendo quel evento indelebile.
Stavo percorrendo il marciapiede in direzione del pub, il Moon Light, o come eravamo soliti chiamarlo “Il Cesso”. A renderlo il nostro locale non era di certo la musica, chi ci conosceva la dentro poteva attribuirci svariati interessi ma di certo non l’amore per il jazz. Forse era l’odore di fumo, le puttane o entrambi probabilmente a renderlo speciale per i più, per me invece era la poesia. Se ci si soffermava abbastanza a lungo il locale trasmetteva nell’animo una sensazione dolce, accogliente, quasi un ventre materno. Probabilmente erano i fumi del alcol, ma ci credevo fermamente e mi dispiacque un mondo quando fu fatto a pezzi.


Ma sto divagando, fu poco prima di entrare che lo vidi, era accovacciato in un vicolo, difficile notarlo dalla strada, in seguito me ne stupii io stesso, fu forse il caso o il fato? Ciò non ha importanza, accadde! Porsi tali quesiti non porta in nessun dove.
Andai titubante ad accertarmi delle sue condizioni, per lo più perché i miei amici erano dannatamente in ritardo e col freddo cane che faceva non volevo rimanere impalato come un idiota ad attenderli. Il giovane era seminudo, i pantaloni semi aperti puzzavano di piscio. Ciò che mi colpì non fu tanto il suo tremolio, ma la sua vergogna, nel suo volto era dipinta l’espressione di chi voleva morire per un’offesa che dilaniava l’anima. Fu probabilmente stuprato, ma di ciò non parlammo mai.
Chiamai l’ambulanza e nell’andarmene egli mi afferrò una caviglia, non disse niente, rimase così, con il braccio teso e gli occhi puntati verso di me. Fari, o stelle, così paragonai i suoi occhi. Non so quanto tempo passò, ma sentii l’ambulanza arrivare al che mi prese un colpo. Gli lasciai un mio biglietto da visita e corsi dentro il locale, dove voi stavate già…
Tre giorni dopo lo squillo. La mattina presto, alle sette e trenta, maledii il telefono! La voce era flebile, sembrava quella di un ragazzetto poco maturo, età che presumibilmente aveva a prima vista. Non disse molto, per lo più rimase zitto, o almeno è quello che ricordo vista l’ora e la mia dopo sbornia.
Ci vedemmo quel stesso pomeriggio per un caffè, e… cazzo… sorrideva. Non so come fosse possibile, dove traesse la forza per farlo. Prendere una verga nel culo senza volerlo e poi sorridere non è certamente normale. Piangere, si. Disperarsi , anche. Desiderare vendetta ancora meglio. Ma sorridere?! Perché?
Non dissi nulla a riguardo, fu un mio pensiero che svanì da li a poco, fu il suo: “grazie” a distrarmi, non tanto la parola, ma il modo. Dolce, delicato, puro.
Vi starete chiedendo cos’è questa storia, beh… sappiate che costui, quel adorabile ragazzetto pasciuto dalle guance lentigginose… “ragazzetto” che parola inappropriata, pensare che aveva già diciotto anni all’epoca. Forse diventerebbe giusta confrontata alla mia età, ma che importanza ha, nessuna. Il fato non osserva queste sottigliezze, le considera superfluità.
Per farla breve, fu la scintilla. Da li a poco ci fu l’amore.
Vi vedo già, increduli e perplessi a saltare dallo shock.

Tranquilli è naturale, nemmeno io ci volli credere all’inizio, ne capii mai il perché o come accadde, me ne feci semplicemente una ragione, oltretutto per la prima volta dalla morte di Lara mi sentivo da dio. Non dico di averla dimenticata, no mai, semplicemente trovai la ragione per andare avanti.
Passai dei momenti bellissimi con Alessandro, attimi che vi nascosi per due anni, ci fu un momento in cui volli dirvelo, ma poi esitai e rinunciai, preferii essere egoista.
Ma se sono qua ora a scrivere questo è perché tale felicità mi è stata portata via. Non dalla morte, ne da qualche altra causa esterna, fu la consapevolezza! Entrò di soprassalto nella mia testa, come un ladro che ti aggredisce alle spalle. Egli sarebbe cresciuto, avrebbe conosciuto qualcuno della sua età magari e se ne sarebbe andato. Ipotesi certo, ma terribili come lame che lacerano la carne, bisturi che incidono la pelle senza anestesia. Non potei sopportarle, lo trattai male, pianse cazzo. Mi amava e io lo cacciai, di questo me ne pentirò sempre. Non posso farlo tornare, non è da me. Si dice che in fatto d’amore non bisogna guardare in faccia niente e nessuno, facile a dirsi, le abitudini sono un brutto male.

Un racconto di Nicoletti Arrigo


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