di Andrea Tuttoilmondo
Ogni sera, da quando sono qui a Lampedusa, inseguo il sole. Verso le sette, sette e mezza, prendo la macchina e corro via veloce lungo la strada che dal paese porta all’ex base Loran, sul versante est della piccola isola. Mi fermo accanto al recinto spinato che separa la strada dalla zona militare, scendo dall’auto, e dallo strapiombo a picco sul mare osservo gli ultimi scampoli infuocati del giorno che muore. Non so perché lo faccio. Al di là della magia racchiusa in sé da questo spettacolo straordinario, c’è sicuramente qualcosa che va oltre. Qualcosa che mi attrae. Una sensazione unica e chiara, ma alla quale non riesco a dare un nome. Non so neanche se quel sole che si spegne sotto ai miei occhi sia solo l’annuncio di una fine, o la manifestazione straordinaria di una speranza di rinascita. Me lo sono chiesto ogni sera. Non ne ho tratto ancora una risposta.
L’ex base Loran oggi è vuota. Fino a pochi giorni fa, prima dell’ultimo trasferimento dei 50 naufraghi della zattera colata a picco portando con sè almeno 250 persone, al suo interno erano ospitati circa duecento immigrati. Somali, eritrei, nigeriani, camerunesi, separati dai tunisini stipati invece nel Centro d’accoglienza. L’apartheid è necessaria per scongiurare atti di feroce razzismo da parte dei maghrebini nei confronti degli extracomunitari di provenienza subsahariana. Così gli immigrati della Loran stavano chiusi lì dentro. Ed erano loro stessi a chiedere di non uscire. Dal mio promontorio sentivo le loro voci e le loro risa: prigionieri felici di una libertà circondata dal filo spinato. Non li potevo vedere, ma li immaginavo. Nei miei pensieri scorrevano limpidi i loro gesti; i loro movimenti all’interno di quelle quattro mura della caserma.
Non so che faccia avessero, ma ne immaginavo sempre uno in particolare. Uno che da dietro al vetro stesse ammirando lo stesso spettacolo che io, nella mia normale libertà dai confini sfocati, stavo osservando. Chissà se quell’uomo avrebbe saputo trovare una risposta alla mia domanda. O se proprio i suoi occhi sarebbero stati di per sé la soluzione ad un interrogativo al quale non darò mai una risposta. Occhi che non incontrerò mai. Chissà quali pensieri passavano per la sua testa, ora che quel mare che aveva dinanzi, finalmente era alle sue spalle.
Non lo saprò mai, ma accetto la realtà. Perché è solo accettandola, senza rassegnarcisi, che si compie quel meraviglioso compromesso che quotidianamente ci spinge a cercare ognuno la sua risposta. Chiunque la trovi e chiunque no, questo è comunque il gioco della vita che si compie in un eterno divenire. Così anche stasera, verso le sette, sette e mezza, prenderò ancora una volta la mia auto, e correrò felice ad inseguire di nuovo il sole. Chissà, forse un giorno lo raggiungerò.
Da settimane Andrea Tuttoilmondo sta seguendo i fatti di Lampedusa come inviato per il suo giornale. Noi lo abbiamo già avuto ospite in chiave ironica con le sue surreali pagelle degli italiani ai mondiali africani. Stavolta è stata l’Africa ad andargli incontro e da quello scoglio in mezzo al mare lui ci ha inviato questa perla. Qualcosa che va al di là della “notizia”, una parte del tesoro umano che in questi giorni di fervide cronache Andrea sta mettendo da parte. Per questo lo ringrazio a nome di tutti i Pupi, lettori e macchiafogli. (Marco Bisanti) Wikio Hello there! If you are new here, you might want to subscribe to the RSS feed for updates on this topic.Powered by WP Greet Box WordPress Plugin Stampa- Musica per la vostra estate: di parole si può vivere?
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Tags: andrea tuttoilmondo, cronache umane, immigrati, lampedusa, libertà, naufraghi
Scritto da Marco Bisanti il 8 aprile 2011 alle 17:49 | Sguardo dal sud. Segui i commenti con il feed RSS 2.0 Qui trovi tutti gli articoli di Marco Bisanti Lascia un commento, o un trackback dal tuo sito.