La parola “animale” riferita alla specie umana contiene due concetti: il cosiddetto uomo è un essere umano, ma anche un animale. Voglio essere ulteriormente preciso, l’uomo è anche una bestia. E riferendomi al concetto generale, toglierei anche. L’uomo è una bestia; la peggiore. Dante Alighieri scrisse: “lo pensiero è propio atto de la ragione, perché le bestie non pensano, che non l’hanno; e non dico pur delle minori bestie, ma di quelle che hanno apparenza umana e spirito di pecora, o d’altra bestia abbominevole”. Così il sommo poeta separò benevolmente l’uomo cosiddetto “normale” da quella parte di individui che si comporta da bestia. Le bestie sarebbero altri, pochi, non tutti. Oggi è evidente che non è così, ma sospetto che Dante, profondo conoscitore dell’uomo dei suoi tempi, sotto sotto la pensasse come me, se è vero com’è vero che si prese la briga di descrivere l’inferno come soluzione finale alle abiezioni umane, e ci mise a guardia una bestia, Cerbero, ed a regnarvi al comando la “bestia” per eccellenza. Siamo tutti delle bestie e il ben dell’intelletto non ci serve per vivere meglio, per rendere il mondo migliore. Siamo peggio delle bestie, che il ben dell’intelletto non ce l’hanno e quindi in un certo senso sono giustificate. L’uomo ha utilizzato la sua migliore qualità per complicarsi la vita, da sempre. Non è stato capace di progredire socialmente di pari passo con il progresso scientifico, ed adesso ne paga care le conseguenze. Da millenni l’essere umano si sposta; si sposta in massa, invade, emigra, esoda. Prima a piedi, poi con mezzi sempre più veloci ed efficaci. E quando si sposta in massa lo fa sempre per motivi seri, per necessità. Chi si sposterebbe mai da un posto in cui sta bene? La soluzione sarebbe facilissima, perfino banale: fare in modo che sulla terra si stia bene dappertutto. Da millenni l’uomo fa l’esatto contrario. Utilizzando i progressi scientifici ottenuti utilizzando il “ben dell’intelletto” è stato capace di creare nel tempo due grandi contenitori virtuali, uno enorme e l’altro piccolissimo. I due contenitori, che nei secoli passati erano divisi dalle difficoltà di spostamento, adesso sono sempre più comunicanti tra di loro e contengono la fame e i bisogni del mondo. Quello grande è pieno, stracolmo. Quello piccolo praticamente vuoto. E come accade in natura, due contenitori comunicanti tra di loro tendono a pareggiare il livello dei propri contenuti. Se la situazione rimarrà così non c’è niente da fare, il contenuto del contenitore grande passerà in quello piccolo fino a riempirlo, e poi tracimerà fuori. Quando tracimerà sarà giunta la fine dell’essere umano “anche animale”, inizierà l’era dell’animale umano e sulla terra qualche altra specie, sempre animale ma meno dotata di ben dell’intelletto, prenderà il comando degli esseri viventi. E probabilmente questo nuovo ciclo durerà molto di più. Ha ragione Antonio Calabrò, quando dice che la pagheremo cara e senza sconti.
La parola “animale” riferita alla specie umana contiene due concetti: il cosiddetto uomo è un essere umano, ma anche un animale. Voglio essere ulteriormente preciso, l’uomo è anche una bestia. E riferendomi al concetto generale, toglierei anche. L’uomo è una bestia; la peggiore. Dante Alighieri scrisse: “lo pensiero è propio atto de la ragione, perché le bestie non pensano, che non l’hanno; e non dico pur delle minori bestie, ma di quelle che hanno apparenza umana e spirito di pecora, o d’altra bestia abbominevole”. Così il sommo poeta separò benevolmente l’uomo cosiddetto “normale” da quella parte di individui che si comporta da bestia. Le bestie sarebbero altri, pochi, non tutti. Oggi è evidente che non è così, ma sospetto che Dante, profondo conoscitore dell’uomo dei suoi tempi, sotto sotto la pensasse come me, se è vero com’è vero che si prese la briga di descrivere l’inferno come soluzione finale alle abiezioni umane, e ci mise a guardia una bestia, Cerbero, ed a regnarvi al comando la “bestia” per eccellenza. Siamo tutti delle bestie e il ben dell’intelletto non ci serve per vivere meglio, per rendere il mondo migliore. Siamo peggio delle bestie, che il ben dell’intelletto non ce l’hanno e quindi in un certo senso sono giustificate. L’uomo ha utilizzato la sua migliore qualità per complicarsi la vita, da sempre. Non è stato capace di progredire socialmente di pari passo con il progresso scientifico, ed adesso ne paga care le conseguenze. Da millenni l’essere umano si sposta; si sposta in massa, invade, emigra, esoda. Prima a piedi, poi con mezzi sempre più veloci ed efficaci. E quando si sposta in massa lo fa sempre per motivi seri, per necessità. Chi si sposterebbe mai da un posto in cui sta bene? La soluzione sarebbe facilissima, perfino banale: fare in modo che sulla terra si stia bene dappertutto. Da millenni l’uomo fa l’esatto contrario. Utilizzando i progressi scientifici ottenuti utilizzando il “ben dell’intelletto” è stato capace di creare nel tempo due grandi contenitori virtuali, uno enorme e l’altro piccolissimo. I due contenitori, che nei secoli passati erano divisi dalle difficoltà di spostamento, adesso sono sempre più comunicanti tra di loro e contengono la fame e i bisogni del mondo. Quello grande è pieno, stracolmo. Quello piccolo praticamente vuoto. E come accade in natura, due contenitori comunicanti tra di loro tendono a pareggiare il livello dei propri contenuti. Se la situazione rimarrà così non c’è niente da fare, il contenuto del contenitore grande passerà in quello piccolo fino a riempirlo, e poi tracimerà fuori. Quando tracimerà sarà giunta la fine dell’essere umano “anche animale”, inizierà l’era dell’animale umano e sulla terra qualche altra specie, sempre animale ma meno dotata di ben dell’intelletto, prenderà il comando degli esseri viventi. E probabilmente questo nuovo ciclo durerà molto di più. Ha ragione Antonio Calabrò, quando dice che la pagheremo cara e senza sconti.
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