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I veri sconfitti: i padri di oggi

Creato il 30 gennaio 2011 da Speradisole

I VERI SCONFITTI: I PADRI DI OGGIBernardo Viola era il padre di Franca Viola, la ragazzina diciassettenne di Alcamo, che a metà degli anni sessanta, fu rapita per ordine del suo corteggiatore respinto, tenuta prigioniera per una settimana in un casolare di campagna e a lungo violentata. Era un preludio alle nozze, nell’Italia e nel codice penale di quei tempi. Se ti piaceva una ragazza  e tu a quella ragazza non piacevi, avevi due strade: o ti rassegnavi o te la prendevi.

La sequestravi, la stupravi, la sposavi. Secondo le leggi dell’epoca, il matrimonio sanava il reato: era l’amore che trionfava, era il senso buono della famiglia  e pazienza se per arrivarci dovevi passare sul corpo e sulla dignità di una donna. A Franca Viola fu riservato lo stesso trattamento. Lui, Filippo Melodia, un picciotto di paese, ricco e figlio di gente dal cognome pesante, aveva offerto in dote a Franca la spider, la terra e il rispetto degli amici.

Tutto quello che una ragazza di paese poteva desiderare da un uomo e da un matrimonio nella Sicilia degli anni sessanta. E quando Franca gli disse di no, lui se l’andò  a prendere, com’era costume dei tempi. Solo che Franca gli disse di no anche dopo, glielo disse quando fece arrestare lui e i suoi amici, glielo urlò il giorno della sentenza, quando Filippo si sentì condannare a 12 anni di galera.

Il costume morale e sessuale dell’Italia cominciò a cambiare quel giorno, cambiò anche il codice penale, venne cancellato il diritto di rapire e violentare all’ombra di un matrimonio riparatore. Fu per il coraggio di quella ragazzina siciliana. E per suo padre: Bernardo, appunto. Un contadino semianalfabeta , cresciuto a pane e fame e zappando la terra degli altri. Gli tagliarono gli alberi, gli ammazzarono le bestie, gli tolsero il lavoro: convinci tua figlia  a sposarsi, gli fecero sapere. E lui, invece, la convinse a tenere duro, a denunciare, a pretendere il rispetto della verità. Tu gli metti una mano e io gliene metto altre cento, disse Bernardo a sua figlia Franca. Atto d’amore, più che idi coraggio. Era povero, Bernardo, più povero dei padri di alcune squinzie di Arcore. Quelli che si informano se le loro figlie sono state prescelte per il letto del drago.

Quelle notti di Arcore sono lo specchio del paese di oggi. Di ragazzine invecchiate in fretta e dei padri ottusi e squinzie di arcorecontenti. Convinti che per le loro figlie, grande fratello o grande bordello, l’importante sia essere scelte, essere annusate, essere comprate. Dici: colpa della periferia, della televisione, della povertà che pesa come un macigno, della ricchezza di pochi che offende come uno sputo e autorizza pensieri impuri. Balle.

I padri che amministrano le figlie.  I padri che le introducono alla corte arcoriana, le istruiscono, le accompagnano all’imbocco della notte. I padri che chiedono meticoloso conto e ragione delle loro performance, che si lagnano  i padri delle squinzie perché la nomination del berlusca le ha escluse, che chiedono a quelle loro figlie di non sfigurare. Di impegnarsi di più a letto, di meritarsi i favori del vecchio sultano. 

Questi padri esistono, li abbiamo sentiti sospirare in attesa del verdetto, abbiano letto nei verbali delle intercettazioni i loro pensieri, li abbiamo sentiti ragionare di arricchimenti e di case e di esigenze cambiate in cambio di una sveltina delle loro figlie con un uomo si settantaquattro anni: sono loro , più del drago, più delle sue ancelle, i veri sconfitti di questa storia. Perché con loro, con i padri, viene meno l’ultimo tassello dell’italianissima normalità, con loro tutto assume definitivamente un prezzo, una  convenienza, un’opportunità. (Sunto dell’art. di Claudio Fava: Il silenzio dei padri- l’Unità)



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